Qualsiasi cosa possa essere detta di Donald Trump, lo immaginavo un newyorkese scafato in grado di riconoscere un buon affare quando lo vedeva.
Un primo esempio è stato in Siria, dove il Comandante in capo, nonostante comprensibili dubbi su impantanamenti all’estero, aveva schierato un piccolo contingente di truppe altamente qualificate per compiere una missione vitale ai fini della sicurezza nazionale americana.
In gergo militare, il presidente Trump stava impiegando una”economia della forza”. Nel contesto della storia recente, aveva adottato un approccio improntato al buonsenso.
Nel 2003, il presidente Bush inviò 177.000 truppe in Iraq per rovesciare un dittatore anti-americano e assassino seriale. Troppe. Nel 2011, il presidente Obama ritirò 90,000 uomini. Ritiro che il vicepresidente Biden sostenne fù “uno dei grandi risultati di questa amministrazione”. Troppo poche.
Ma il presidente Trump prese la decisione giusta: meno di 1.000 operatori speciali per addestrare, equipaggiare, consigliare e fornire supporto aereo alle forze di difesa siriane, 60.000 combattenti, per lo più curdi ma anche cristiani siriani, arabi e altri che, come noi, si oppongono al jihadismo.
Grazie a questo investimento sostenibile, l’SDF aveva umiliato lo Stato islamico, aveva impedito alla Repubblica islamica dell’Iran di attraversare la regione, aveva tenuto sotto controllo il dittatore siriano Bashar al-Assad e fatto capire al presidente russo Vladimir Putin fino a dove poteva spingersi.
La decisione del presidente Trump di ritirarsi dalla Siria ha gettato via tutto ciò. I suoi difensori dicono che lo sta facendo per le truppe, portandole a casa dove saranno al sicuro. Ma i combattenti americani si offrono volontari non per essere al sicuro a casa loro ma per permettere che lo siano i cittadini americani, prendendo di mira i nostri nemici ovunque vivano e tramino contro di noi.
Le nostre truppe hanno stabilito legami con i loro alleati in Siria. L’ultima cosa che volevano era lasciare indifesi quegli alleati e le loro famiglie. Jennifer Griffin di Fox News ha parlato con uno di questi combattenti subito dopo che gli era stato ordinato di abbandonare i suoi compagni d’armi. “Per la prima volta nella mia carriera, mi vergogno”, le disse. La Griffitn ha aggiunto, “Questo soldato delle forze speciali statunitensi voleva che sapessi che: “I curdi ci stanno accanto. Nessun altro partner con cui abbia mai avuto a che fare lo avrebbe fatto”.
I curdi sono stati a lungo i migliori amici d’America in quello che oggi è chiamato il mondo musulmano. Una nazione orgogliosa e antica senza alcuno stato, sono comunque riusciti a sopravvivere e non hanno alcun desiderio di essere divorati da un nuovo impero islamico anti-occidentale – l’obiettivo sia dei salafi e jihadisti sunniti che dei khomeinisti iraniani e leader sciiti.
Apparentemente Trump non lo capisce. Non lo capisce nemmeno il senatore Rand Paul, che sembra soffiare nell’orecchio di Trump. L’unica ragione per cui gli americani sono in Siria, ha affermato Paul la scorsa settimana, è a causa della “sete di sangue dei neocon” che, ha aggiunto,”non conosce limiti”.
Questi nemici si considerano uomini di fede, predestinati divinamente per sconfiggere tutti gli infedeli ovunque, eredi del califfo Umar che conquistò Gerusalemme nel 637, di Saladino che sconfisse i crociati nel 1187, del sultano Mehmet che occupò la capitale cristiana di Costantinopoli nel 1453.
Che la “guerra infinita” che stiamo combattendo abbia già più di mille anni non è un’opinione. È la persuasione dei nostri nemici. Rifiutare di elaborare questa realtà e progredire è improbabile.
Dan Crenshaw, un ex ufficiale dei Navy Seal ora in servizio al Congresso, ha osservato che la “grande ironia” della disputa sulle “guerre senza fine” “è che rimuovere la nostra piccola e conveniente forza dalla Siria settentrionale sta causando più guerra, non meno guerra”.
Qualunque cosa si possa dire di Donald Trump, lo ritenevo un tipo in grado di sentire l’odore di un truffatore a un miglio di distanza. Ma sembra aver ceduto al fascino di Recep Tayip Erdogan. Il presidente turco è un islamista, un sostenitore dei Fratelli Musulmani e un neo-ottomano che si presenta come un alleato. Ha mostrato scarso interesse nel reprimere lo Stato islamico (in effetti, i terroristi dell’IS operavano dal territorio turco di recente lo scorso anno) e ha tramato con i governanti iraniani contro l’America in più occasioni.
Ha anche represso brutalmente l’ampia minoranza curda in Turchia. Sì, alcuni curdi hanno risposto con il terrorismo. Ma i curdi in Siria non rappresentavano una minaccia per la Turchia fintanto che si trovavano sotto l’ala americana. In effetti, l’influenza dell’America, sostenuta per un lungo periodo, può essere trasformativa. Il Giappone, la Germania e la Corea del Sud sono degli esempi in questo senso.
Ancora una cosa: se il presidente Trump avesse ritenuto essenziale ritirarsi dalla Siria, avrebbe potuto dare istruzioni al suo nuovo consigliere per la sicurezza nazionale, Robert O’Brien, al suo nuovo segretario alla Difesa, Mark Esper, e al suo equilibrato segretario di Stato, Mike Pompeo, di mettere a punto un piano per sfruttare la potenza militare americana per proteggere gli interessi americani; accogliere i legittimi problemi di sicurezza turchi (erano in corso trattative per creare una “zona sicura” lungo il confine siriano); impedire la fuga di migliaia di prigionieri dello Stato islamico dai campi gestiti dai curdi; e non tradire gli amici americani, lasciandoli alla misericordia di Erdogan.
In altre parole, avrebbe potuto ottenere molto per l’America, per la sua campagna di rielezione e per coloro che si sono fidati di noi. Se l’America dovrà essere di nuovo grande, avrà bisogno di alleati fiduciosi in grado di essere d’aiuto per combattere una guerra che può finire in due modi: con noi che ci arrendiamo o con noi che chiariamo che sconfiggere l’America non è né realistico né stabilito per ordine di Dio.
Traduzione di Niram Ferretti
https://www.fdd.org/analysis/2019/10/16/how-not-to-end-endless-wars/