La proposta per il nuovo accordo sugli ostaggi, alla quale Hamas non ha ancora risposto, è stata diffusa mercoledì mattina dal quotidiano libanese Al Akhbar.
Secondo quanto emerso, la prima fase durerà 40 giorni, durante i quali Israele si ritirerà dalle aree densamente popolate e fermerà l’attività aerea per 10 ore.
Viene anche rivelato che le donne in ostaggio verranno rilasciate per prime e contemporaneamente Israele libererà la strada costiera.
A partire dal 22° giorno dell’accordo verranno rilasciati anche gli ostaggi maschi e inizierà lo sgombero degli edifici demoliti. Inoltre, verranno rinnovate le infrastrutture degli ospedali e dei panifici.
Per quanto riguarda il rilascio dei terroristi, 20 terroristi saranno rilasciati in cambio del rilascio di ostaggi nella categoria umanitaria, che comprende i feriti, gli anziani e i disabili mentali. In cambio del rilascio delle donne soldato, Israele libererà 20 terroristi con le mani sporche di sangue, condannati all’ergastolo.
Il ritmo del rilascio sarà di tre ostaggi ogni tre giorni. Inoltre, secondo la proposta, Israele consentirà ai terroristi di lasciare Gaza per cure mediche.
Nell’ambito della seconda fase, che durerà 42 giorni, verrà dichiarato un cessate il fuoco totale in cambio del rilascio dei restanti ostaggi vivi, compresi i soldati, e, in cambio del rilascio degli ostaggi, Israele rilascerà altri terroristi.
Nella terza fase dell’accordo verranno rilasciati anche i corpi degli ostaggi morti e avrà inizio la ricostruzione di Gaza.
Tecnicamente parlando, dal punto di vista della lotta al terrorismo, più che un accordo questo è una caporetto totale per Israele.
Per prima cosa viene meno quella regola di base, ovvero “Non si tratta con i terroristi”, che per Israele era una volta un principio indiscutibile, oggi purtroppo venuto meno.
Perché non si tratta con i terroristi? Perché se lo si fa, si incentivano ulteriori azioni terroristiche, ulteriori attacchi deliberatamente perpetrati contro la popolazione civile per ottenere scopi politici. Se i terroristi si rendono conto che le azioni da essi perpetrate danno frutti, le ripeteranno, alzando magari il tiro e il numero dei morti.
Il 7 ottobre ci ha insegnato proprio questo; lasciar prosperare Hamas trattandola come legittimo interlocutore politico, lasciando che ingenti finanziamenti provenienti dal Qatar entrassero nelle tasche di Hamas (E su questo Netanyahu ha le sue belle responsabilità) ha portato alla morte di 1200 persone, al sequestro di 240 ostaggi, molti dei quali poi uccisi.
I terroristi hanno stuprato, arso neonati nei forni, decapitato persone e il governo di Netanyahu, quello dei tanti proclami sull’ “eradicare Hamas”, alla fine ha deciso di trattare con questi personaggi.
Gli obiettivi iniziali del governo e dell’IDF erano due: eradicare Hamas e liberare tutti gli ostaggi utilizzando la pressione militare. Secondo Netanyahu i due obiettivi non erano in contrasto tra loro. Le cose però sono andate diversamente se oggi Israele si trova a dover fare delle concessioni inaudite nei confronti di quell’organizzazione terrorista che doveva sradicare. Eppure la campagna militare è stata impostata su un meccanismo di pressione da nord verso sud con concentrazione finale su Rafah ed era prevedibilissimo che l’ultima fase avrebbe richiesto, per forza di cose, l’ingresso nell’ultima area urbana rimasta, dove sarebbero confluiti i leader di Hamas a Gaza assieme ai restanti ostaggi.
Oggi il governo israeliano si è invece reso conto che forse i due obiettivi erano in contrasto, ma non può ammetterlo e allora arrivano nuovi contraddittori proclami sull’entrare a Rafah nonostante l’accordo. Il problema è che a Netanyahu ormai non crede più nessuno. Prima il fiasco che ha portato al 7 ottobre, poi il fiasco della trattativa-resa.
C’è poi la questione dei soldati e dei membri della sicurezza israeliani morti dallo scorso 7 ottobre ad oggi. Secondo i numeri resi noti dal Times of Israel sono ben 604 (soldati, agenti di polizia e riservisti) di cui 260 rimasti uccisi durante quell’offensiva su Gaza che doveva eradicare Hamas e ai quali vanno ad aggiungersi altri due militari morti ieri nella zona centrale di Gaza. Ci sono israeliani che risiedevano all’estero ed hanno lasciato studi, lavoro, affetti, per andare a combattere. Per cosa?
La trattativa avrà un impatto anche su questo, perché saranno in tanti a dire “chi me lo fa fare di andare a combattere se poi questo è l’epilogo”? La fiducia nelle leadership politiche, già estremamente basso, ne risentirà ulteriormente.
La trattativa-resa avrà poi un impatto anche sulla diaspora ebraica, già ampiamente sotto minaccia per mano degli islamisti affiancati dalle estreme sinistre che avranno modo di cantare vittoria e diventare ancora più aggressivi pensando, forse non poi così erroneamente, che le manifestazioni di odio in Occidente abbiano contribuito ad incrementare le pressioni sul governo israeliano.
In ultimo, è bene tenere a mente che per portare a termine una campagna di contro-terrorismo efficace, come insegnano del resto all’IICT israeliano, è fondamentale nel breve termine distruggere totalmente le capacità operative di un’organizzazione terrorista e nel medio-lungo termine neutralizzarne la motivazione (attraverso una serie di misure volte a colpire la propaganda e a sostituirla con alternative costruttive, aspetto che andava curato dopo aver eradicato Hamas).
In questo caso il governo Netanyahu sta per fare l’esatto contrario, lasciando intatti diversi battaglioni di Hamas, liberando il territorio che tornerà dunque nelle mani dei terroristi i quali ora hanno un’altissima motivazione a contrattaccare, sia per l’offensiva subita ma soprattutto per il fatto di sentirsi vincitori in seguito a trattative che vanno soltanto a loro vantaggio.
Una campagna militare che non disabilita le capacità operative dell’organizzazione è una campagna inefficace e non farà altro che aumentare la motivazione terroristica, esponendo i civili e i militari a ulteriori attacchi. Questo è esattamente ciò che sta accadendo a Gaza.
Tecnicamente, l’IDF sarebbe stata perfettamente in grado di entrare a Rafah, liberare quanti più ostaggi possibile, terminare Hamas e i suoi leader, ma Netanyahu ha deciso di non farlo. Il perché del non intervento non ha importanza, ciò che conta è che non è stato fatto, che i proclami non hanno avuto un riscontro pratico, perché avrà ripercussioni pesanti.
Hamas nel contempo troverà anche il modo di rallentare il rilascio dei restanti ostaggi, guadagnando altro tempo e sapendo di poterselo permettere, perché sa che la tattica da i suoi frutti, perché Netanyahu in fin dei conti tratta con i terroristi. Sarebbe stato meglio parlare di meno e fare ciò che andava fatto. Del resto nel contro-terrorismo i proclami non vanno mai d’accordo con l’azione. Sempre meglio agire in silenzio che parlare e non agire.