Di recente, Sergio Della Pergola, ha rilasciato una lunga intervista sulla situazione politica in Israele, presentando una realtà parziale e fortemente alterata dai suoi pregiudizi politici. Al centro del colloquio tra il professore e la giornalista vi è Netanyahu, l’Orco della fiaba, accusato di aver spezzato l’equilibrio politico-istituzionale israeliano, mettendo il Paese sulla via del «totalitarismo». Il Primo ministro, definito «ebbro di potere», formando un governo di «destra-destra», avrebbe escluso le opposizioni e avviato una dittatoriale riforma del sistema giudiziario senza coinvolgere tutto lo spettro politico. Quella di Netanyahu, secondo Della Pergola, sarebbe una dittatura «legale», ossia rispettosa delle procedure democratiche ma «fascista» nella sostanza. Ed è proprio a «fascisti» e «nazisti» che ha paragonato l’attuale governo.
In realtà, se si osserva la storia recente d’Israele, ci si rende conto che, per prima, la sinistra israeliana ha trattato Netanyahu non come un avversario politico legittimo, ma come un’«anomalia» da rimuovere con ogni mezzo, compreso quello giudiziario. Non a caso, le azioni legali contro il premier si stanno rivelando inconsistenti, più simili a campagne denigratorie che a serie attività istruttorie. Netanyahu, inoltre, è accusato da Della Pergola di aver rotto, durante la presidenza Obama, con la tradizionale equidistanza dei governi d’Israele tra democratici e repubblicani americani, posizionandosi nettamente in campo repubblicano. Si tratta di una ricostruzione d’imbarazzante superficialità.
Lo scivolamento di Netanyahu verso la destra statunitense è stato dettato, se non addirittura forzato, dalla pervicace ostilità dell’Amministrazione Obama a Israele e dalla sua sistematica sottovalutazione della minaccia nucleare iraniana, sfociata poi nel vergognoso Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa), fortunatamente stracciato dal presidente Trump.
Perdipiù, si accusa Netanyahu di aver causato l’astensione statunitense al voto della risoluzione 2334 dell’Onu, che condanna la politica degli insediamenti di Israele in «Cisgiordania» e Gerusalemme est, ignorando che quella astensione fu premeditata dall’Amministrazione Obama e, de facto, annunciata dall’allora Segretario di Stato John Kerry in un discorso in cui definì i cosiddetti «insediamenti» come un «ostacolo alla pace», proprio come scritto nella risoluzione in questione.
Dopo aver dipinto uno scenario politico da anni Trenta, Della Pergola passa a una disamina, tendenziosa e imprecisa, del quadro giuridico dello Stato d’Israele. La Corte Suprema è presentata come un elemento di «equilibrio», un’affermazione che avrebbe sdegnato celebri giuristi israeliani come Moshe Landau e Amnon Rubinstein, che videro in essa un «governo alternativo» e un potere «iperattivo». Netanyahu e il suo Ministro della giustizia, Yariv Levin, intendono riportare la Corte nell’alveo dello Stato di Diritto, impedendole, come accaduto nel 1992, di trasformare in leggi costituzionali a tutti gli effetti delle Leggi Base approvate dalla Knesset con solamente un quarto dei suoi parlamentari. Come più volte ricordato su queste pagine, il ramo giudiziario, per quanto «supremo», non è chiamato a trasformare leggi ordinarie, quali sono le Leggi Base, in norme costituzionali per poi, in base a un pregiudizio politico, di sinistra e post-sionista, come nel caso di Barak, bocciare le leggi varate dalla Knesset.
Della Pergola ha manifestato un notevole disagio per il primo atto di riforma approvato dal Parlamento israeliano, ossia l’annullamento del ricorso al sindacato di ragionevolezza in determinati campi.
Ora, quello di «ragionevolezza» è un concetto in parte indefinito, dal contenuto inafferrabile, plasmabile a piacimento sulla base di valori e convinzioni soggettive. Non a caso ha rappresentato lo strumento con cui la Corte Suprema cassava le leggi approvate dalla Knesset e le norme amministrative.
La riforma giudiziaria non è un’«ossessione» della destra o un tentato «colpo di stato» istituzionale, ma una necessità sentita dalla maggioranza degli israeliani, anche da quelli di tendenze centriste o liberal, che però viene utilizzata, polemicamente e irresponsabilmente, dalla sinistra per attaccare Netanyahu.
Il giornalista David M. Weinberg ha scritto della «pericolosa istigazione incendiaria» posta in essere da Ehud Barak, che surriscalda il clima politico israeliano con affermazioni iperboliche e violente. La sinistra sta esacerbando il dibattito sulla riforma nel tentativo di abbattere l’odiato Netanyahu.
L’intervista si concentra anche sulla «Legge del Ritorno», che il governo vorrebbe rendere più stringente, applicando una più rigorosa definizione di «ebreo», che attualmente considera tale i convertiti, coloro che vantino almeno un nonno, oppure un parente di terza generazione, o un coniuge ebreo. La proposta del governo, ovviamente, viene presentata come una involuzione nazionalista, senza accennare minimamente alle ragioni della destra.
Negli ultimi anni, una quota crescente di nuovi immigrati, soprattutto provenienti dai Paesi dell’ex Urss, che non sono effettivamente ebrei né si sentono tali, hanno sfruttato le maglie larghe della «Legge del Ritorno» per emigrare in Israele, considerato uno Stato sicuro, dall’economia attrattiva, che in più finanzia tutte le spese relative al trasferimento, al ricollocamento e all’alloggio dei nuovi migranti nel Paese. I partiti religiosi al governo, giustamente, lamentano che, in presenza di una quota così considerevole di non-ebrei nelle ultime ondate migratorie, la tenuta sociale del Paese può essere a rischio a causa della loro mancata integrazione nel tessuto sociale israeliano, oltreché mettere in pericolo il carattere ebraico dello Stato.
Il quadro tracciato nell’intervista rivela l’incapacità di una certa sinistra «illuminata» di separare i fatti dai propri pregiudizi. Si chiama «fascista» l’avversario politico che non si arrende in modo incondizionato alla visione progressista e universalista. Della Pergola manifesta anche uno scarso rispetto per il linguaggio, utilizzando termini scorretti come «Cisgiordania», oppure abusando di nozioni quali «totalitarismo» e «dittatura».
La riforma proposta dalla destra israeliana è molto più in linea con un normale quadro «democratico» rispetto allo stato di cose attuale. Coloro che si oppongono alla riforma non stanno difendendo la democrazia, bensì le stanno facendo guerra.