Hamas, nel 2014, rapì e uccise tre adolescenti israeliani della Cisgiordania, tra cui Naftali Frenkel, un sedicenne con cittadinanza americana.
Il triplice omicidio fu tra le cause scatenanti dell’operazione militare nota come «Margine di protezione». Mentre Israele combatteva i terroristi islamici, rendendo un servizio a tutte le democrazie, Obama chiedeva un rapido «cessate il fuoco». «Non ho simpatia per Hamas – disse l’allora presidente – ma provo grande simpatia per la gente comune che lotta a Gaza».
L’Autorità Nazionale Palestinese, dopo la fine dei combattimenti, ottenne 4 miliardi di dollari per ricostruire le infrastrutture distrutte dalla reazione israeliana. 212 milioni provenirono dagli Stati Uniti d’America. Anche quei dollari hanno finanziato i massacri del 7 ottobre.
Inondare gli arabi-palestinesi di denaro faceva parte del «nuovo corso» delle relazioni tra Stati Uniti e mondo islamico, ovvero l’appeasement nei confronti di organizzazioni terroristiche e teocrazie, che venne inaugurato da Obama con un discorso all’università de Il Cairo nel 2009.
Con la sua prolusione, imbastita di retorica sulla «tolleranza» e il «dialogo», di fatto, il presidente afroamericano tendeva la mano all’Iran, ai Fratelli Musulmani e a Hamas, trattandoli da partner affidabili. Nel medesimo anno, Obama, che già progettava l’accordo sul nucleare iraniano, non sostenne le rivolte anti-regime in Iran, condannando migliaia di manifestanti alla repressione.
Obama sostituì l’ambizioso programma neoconservatore di George W. Bush, i cui obiettivi erano «democratizzare» il Medio Oriente e «bonificare le paludi» del terrorismo, con qualcosa di decisamente peggiore, ossia una resa amministrata e diplomaticamente gestita.
Il frettoloso ritiro dall’Iraq, il rifiuto d’intervenire in Siria a sostegno dei ribelli laici e liberali, l’accordo sul nucleare con l’Iran hanno avuto conseguenze disastrose per tutti i Paesi alleati della regione, a cominciare da Israele.
L’ascesa dell’Iran, incoraggiata dell’Occidente, ha rappresentato, e tuttora rappresenta, una minaccia esiziale per lo Stato ebraico. La teocrazia iraniana, infatti, sotto l’amministrazione Obama, si è istallata in Siria e si è rafforzata in Libano, Yemen e a Gaza.
La mentalità che ha reso Israele così vulnerabile deriva dal modus operandi imposto dall’amministrazione Obama. Invece di combattere e sconfiggere Hamas e i suoi padrini di Teheran, Obama esercitava pressioni su Israele affinché facesse di Hamas un normale interlocutore. I leader israeliani sono stati invitati a trovare modi per incentivare il buon comportamento di Hamas, che includevano, oltre ai finanziamenti, anche la concessione di migliaia di permessi di lavoro in Israele agli abitanti di Gaza.
Hamas è stato trattato come un attore razionale con cui si poteva coesistere, a patto di elargire alcuni «favori» economici. Questa filosofia è alla base dei massicci programmi di aiuto per ricostruire Gaza dopo ogni guerra, che hanno fornito all’organizzazione terroristica armi e denaro. I cosiddetti «realisti», contro la realtà e i fatti, hanno trattato gli jihadisti come soggetti affidabili.
Diventa ogni giorno più evidente come i problemi del Medio Oriente non siano causati da un presunto «imperialismo» americano, bensì dal rifiuto dell’America di porsi come «impero liberale efficace», capace di garantire e dispensare il libero mercato, la democrazia liberale, la laicità, i diritti dell’uomo.
A partire dalla presidenza Obama, gli Stati Uniti, rinunciando all’ambizioso progetto di promuovere la democrazia in Medio Oriente, hanno incoraggiato i piani criminali dell’Iran e delle sue propaggini terroristiche: Hamas ed Hezbollah.