Editoriali

Bernard Lewis e la costruzione del Medio Oriente

Bernard Lewis, nato in un sobborgo di Londra da una famiglia ebraica, è considerato uno dei massimi studiosi del Medio Oriente, in particolare per ciò che riguarda i rapporti tra Islam e Occidente. Autore di opere seminali – tra le tante, ricordiamo, in italiano, I musulmani alla scoperta dell’Europa, Il suicidio dell’Islam. In che cosa ha sbagliato la civiltà mediorientale, Le origini della rabbia musulmana. Millecinquecento anni di confronto tra Islam e Occidente – la sua dote principale, oltre alla chiarezza espositiva, è probabilmente la capacità di osservare ed analizzare, con estrema lucidità, il mondo islamico (e i suoi rapporti con l’Occidente) attraverso i suoi paradigmi e il suo processo storico. In queste righe, nella speranza che ciò stimoli la curiosità di approfondimento del lettore, daremo ampio spazio alle sue parole, concentrandoci su alcuni concetti di base e temi ricorrenti circa la realtà mediorientale. Salvo dove diversamente indicato, tutte le citazioni (in corsivo) sono tratte da La costruzione del Medio Oriente, libro che ben riassume il metodo e l’autorevolezza di Bernard Lewis. Basti ricordare che la prima edizione di questo volume (1964, la versione da noi utilizzata è quella aggiornata nel 1994) venne tradotta, tra le tante lingue, anche in ebraico e in arabo, rispettivamente per volere della casa editrice del Ministero della Difesa israeliano e dei Fratelli Musulmani.

Cosa si intende per Medio Oriente? “L’espressione «Medio Oriente» fu inventata nel 1902 da uno specialista statunitense di storia navale, Alfred Thayer Mahan, per indicare la regione compresa tra la penisola araba e l’India che ha per centro – dal punto di vista della strategia navale – il Golfo Persico.” Questa espressione entrò ben presto nell’uso comune, ottenendo una popolarità universale, venendo utilizzata “anche da russi, africani e indiani rispetto ai quali essa si trova in realtà rispettivamente a sud, nord e ovest: perfino, cosa ancor più strana, dagli stessi abitanti del Medio Oriente. L’espressione è risultata talmente comoda che l’area a cui viene applicata e in cui viene usata si è estesa enormemente, dalle regioni costiere del Golfo Persico, come accadeva in origine, fino alla vasta estensione compresa tra il Mar Nero e l’Africa equatoriale, tra la frontiera nordoccidentale dell’India e l’Atlantico.” Con l’espressione Vicino Oriente si indicava invece, a partire dalla seconda metà del XIX secolo “quel settore dell’Europa sudorientale che era ancora sottoposto alla dominazione turca. Era «Vicino» perché, dopo tutto, era cristiano ed europeo; era «Oriente» in quanto ancora sotto la dominazione dell’impero ottomano, vale a dire di uno Stato islamico e «orientale». Per un certo periodo il Vicino Oriente venne per così dire prolungato verso est e, soprattutto nell’uso americano, finì con l’abbracciare la maggior parte dei territori dell’impero ottomano, in Asia e Africa oltre che in Europa. Nell’uso britannico – forse perché, a conoscerlo meglio, il Vicino Oriente è risultato meno vicino di quanto si credesse inizialmente – l’espressione «Vicino Oriente» è quasi scomparsa.”




Dal deserto e dalle steppe. Uno dei temi più ricorrenti nella storia del Medio Oriente è quello dell’invasione e della conquista delle aree fertili e delle terre coltivate, secondo due direttrici principali, dal deserto e dalle steppe dell’Asia centrale: “In qualche caso si trattava di popolazioni semitiche provenienti dalle desolate lande d’Arabia: gli accadi, i cananei, gli aramei e gli ebrei dell’antichità; altre popolazioni si dirigevano verso sud dalle steppe dell’Asia centrale, settentrionale e orientale. L’ultima, e la più grande, fra le invasioni semitiche fu quella degli arabi musulmani nel settimo secolo, che diede l’avvio alla civiltà islamica medievale; la più grande tra le invasioni provenienti dalle steppe fu quella dei mongoli”.

Arabi, mongoli (che posero fine al califfato di Baghdad e, per la prima volta dai tempi di Maometto, sottoposero a dominazione non islamica una parte delle terre islamiche), ma anche Turchi. L’impatto dei Turchi sulla storia del Medio Oriente è un altro aspetto fondamentale per comprendere l’evolversi della storia della regione. Furono gli Arabi, nel corso dell’VIII secolo, a diffondere la fede islamica alle popolazioni turche dell’Asia interna. Dall’inizio del IX secolo i califfi dell’islam cominciarono a importare schiavi turchi, per farne principalmente dei soldati. È così che si formò, pur essendo nominalmente nella condizione di servitù, quella casta militare privilegiata nota come mamlūk. I turchi mamlūk o Mamelucchi “diventarono col tempo il nucleo centrale degli eserciti dell’islam. Rapidamente, i loro comandanti divennero governatori e presto fondarono delle dinastie. I primi governanti di origine turca nell’islam apparvero nel IX secolo e già nell’XI secolo solo pochi governanti non erano di origine turca. Quando i turchi divennero la componente dominante degli eserciti islamici e i loro governi si militarizzarono, in terra islamica si stabilì una dominazione turca che durò per mille anni.” (Bernard Lewis, La Sublime Porta. Istanbul e la civiltà ottomana). Ciò spiega perché i sudditi arabi dell’impero ottomano non avessero “alcuna concezione di uno Stato arabo separato, né una concreta volontà di separarsi dai turchi. Certamente non mettevano in discussione il fatto che i sultani fossero turchi: anzi, sarebbe parso strano che non lo fossero. L’idea dello Stato nazionale territoriale era talmente estranea che in arabo non esiste una parola che indichi l’Arabia e, fino a poco tempo fa, in turco mancava una parola per indicare la Turchia. Ora i turchi usano una parola di origine europea; gli arabi se la cavano con un’espressione che significa «la penisola degli arabi».”

Valli fluviali, altipiani, Levante. Un secondo aspetto fondamentale per capire la storia e la politica del Medio Oriente, direttamente collegato a quello delle invasioni, è la sua geografia. “Il deserto è interrotto, qua e là, da fiumi che possono servire all’irrigazione. Due dei paesi più importanti, l’Egitto e l’Iraq, sono in sostanza le valli di grandi fiumi. In entrambi si sono sviluppate società antichissime, certamente le più antiche della regione e forse del mondo intero. Entrambi dispongono di un’economia agraria fondata su una complessa irrigazione artificiale che utilizza le acque di piena e richiede un gran numero di manovali e di tecnici specializzati, sotto il controllo di un potere amministrativo centrale. Questa esigenza ha determinato l’evoluzione del regime fondiario; ha contemporaneamente incoraggiato la formazione di governi centralizzati forti, nello stesso tempo burocratici e autocratici, e di una corrispondente tradizione di pensiero e comportamento politico.” Gli abbondanti raccolti dei bacini fluviali irrigati e la mancanza di altre risorse (legname e minerali) necessarie all’evolversi delle tecnologia necessaria alla coltivazione portarono allo sviluppo del commercio, sia via terra che via mare. Lo sviluppo di città, governi e commerci portò alla nascita della scrittura “con la rivoluzionaria possibilità di registrare, accumulare e trasmettere la conoscenza.”




Le valli fluviali di Egitto e Iraq da una parte, gli altipiani di Turchia e Iran dall’altra. “A settentrione e a oriente delle pianure e delle vallate che costituiscono la Mezzaluna Fertile giacciono i vasti altipiani dell’Iran e dell’Anatolia, nettamente separati per configurazione geografica, popolazione, tradizione culturale ed esperienza politica. Su queste terre hanno esercitato una profonda influenza le civiltà semitiche della Mezzaluna Fertile, sia nella loro fioritura antica, sia in quella islamica, ma i loro abitanti non hanno mai adottato la lingua semitica, benché abbiano conosciuto molte trasformazioni etniche e linguistiche e accolto diverse forme di scrittura semitica. I persiani a est e gli hittiti, i greci e i turchi a nord hanno mantenuto grossomodo i medesimi confini etnici. […] Oggi quegli altipiani costituiscono i due Stati della Turchia e dell’Iran, abitati da popoli che, pur essendo musulmani, non hanno in comune con gli arabi né il linguaggio, né il lungo trauma della sottomissione e della liberazione. La linea di demarcazione tra arabi e non arabi è antica, e la frontiera da essa contrassegnata lungo le pendici delle montagne lo è molto di più.”

Fra il Sinai a sud e il Tauro a nord, il deserto a est e il mare a ovest, la regione costituita dagli attuali Stati di Siria, Libano, Israele e Giordania “che era detta Siria dai greci e dai romani, paese di Shām dagli arabi, e Levante dai mercanti europei. La topografia accidentata di questa regione contrasta nettamente con i bacini fluviali e gli altipiani degli imperi confinanti, e ha determinato di solito una frammentazione culturale e politica. Soltanto in rare occasioni l’eclissi temporanea di altre potenze ha consentito l’emergere di un potere forte in Siria. Il più delle volte le terre siriane hanno formato un mosaico di piccoli principati, oggetto e teatro di lotte fra i loro più potenti vicini. Quando i sovrani dell’Egitto erano forti, erano loro a cercare di estendere il più possibile il proprio dominio sulla Siria: così fecero il faraone Tutmosi e Tolomeso, Pompeo e Ibn Tūlūn, i fatimidi e i mamelucchi, Napoleone e Muhammad ‘Alī, l’impero britannico e Ğamal ‘Abd el-Nāser. La frontiera più vulnerabile dell’Egitto è quella nordorientale, attraverso la quale sono passati molti invasori, e i governi egiziani hanno generalmente cercato di conservare almeno una testa di ponte oltre il Sinai. In altri periodi il Medio Oriente è stato dominato dall’est (ad esempio, dagli assiri, dai persiani e dagli abbasidi); dal nord (dagli hittiti, dai bizantini e dagli ottomani); o dal mare.” Una caratteristica orografica di questa regione del Medio Oriente è costituita dai monti del Libano e dell’Antilibano, che si protraggono da nord a sud, parallelamente alla costa del Mediterraneo, dividendo la regione in due parti: “un versante occidentale rivolto verso il Mediterraneo e l’Europa, e uno orientale verso il deserto e l’Asia. La separazione tra i due versanti è antica, ed è stata periodicamente accentuata da nuove ondate di invasione provenienti da entrambe le direzioni. I filistei e i fenici erano entrambi popoli del mare, ma i primi venivano dall’occidente, mentre i secondi erano proiettati verso di esso. Gli antichi israeliti erano un popolo del deserto e delle colline, che dapprima tennero a bada e infine sconfissero i filistei invasori. La cultura greca e romana fiorì lungo le coste, mentre l’interno languiva. Antiochia era una grande metropoli greca, e la città marinara di Berytus ospitava una importante scuola di diritto romano: l’università romana di Beirut, per così dire. Solo in qualche occasione, come ad esempio sotto i maccabei della Giudea, la più antica cultura dell’entroterra riuscì a tener testa alla dominante influenza ellenistica. Le invasioni arabe rinnovarono l’egemonia dell’Oriente e, per un breve intervallo, addirittura trasformarono Damasco in capitale imperiale. I crociati, marciando verso sud da Antiochia a Gaza, restituirono per un po’ di tempo la costa del Levante all’Europa, ma non riuscirono a penetrare verso l’interno. Non arrivarono mai ad Aleppo, né a Damasco, e furono in grado di conservare Gerusalemme, loro obiettivo principale, solo per poco. La separazione tra i due versanti è ancora netta ai giorni nostri: tra Beirut e Damasco, ad esempio, o – in forma molto più acuta – fra Tel Aviv e Amman.”

Lingue. Delle tante lingue parlate nel Medio Oriente antico ne sono sopravvissute soltanto due: ebraico e greco. A partire dal settimo secolo, facendo la loro comparsa in epoche successive, le lingue principali della regione divennero quelle collegate all’islam: l’arabo (lingua semitica affine a ebraico e siriaco), il persiano (lingua indoeuropea), il turco (lingua turcotatara): “Pur essendo del tutto distinte a livello strutturale, queste tre lingue sono strettamente connesse sul piano culturale: si utilizza un enorme patrimonio di prestiti lessicali arabi in persiano, e di prestiti arabi e persiani in turco.” Le lingue e gli alfabeti non sono solo un retaggio storico-culturale, ma a volte rappresentano anche una scelta politica. Interessante a tal proposito, all’indomani della disintegrazione dell’Unione Sovietica, il destino delle sei repubbliche a maggioranza musulmana centroasiatiche (Azerbaigian, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan): chi scelse il ritorno all’alfabeto arabo, chi di conservare l’alfabeto cirillico, chi di optare per l’alfabeto latino turco. Ovvero, chi optò per un ritorno “puro” all’islam e/o al khomeinismo (per vicinanza geografica con l’Iran), chi il postsovietismo, chi il kemalismo.

La situazione attuale dopo la spartizione dell’Impero Ottomano. Al termine della Prima guerra mondiale “le province arabe furono divise tra l’impero britannico e quello francese e amministrate per mezzo di mandati, in base a un sistema dichiaratamente concepito per preparare i paesi in questione all’indipendenza sotto la guida delle potenze mandatarie. Il corno orientale della Mezzaluna Fertile comprendente i vilayet ottomani di Mosul, Baghdad e Basra fu costituito in regno e battezzato con il nome di Iraq, termine medievale applicato all’area centromeridionale del paese. […] Il corno occidentale della Mezzaluna Fertile fu diviso in due mandati di cui uno a nord assegnato alla Francia con il nome di Siria e l’altro a sud affidato alla Gran Bretagna sotto il nome di Palestina. I due nomi, di origine greco-romana, facevano parte della tradizione classica occidentale: furono importati per volontà dei nuovi governanti dall’Europa, dove erano in uso comune, in un Medio Oriente che li ignorava. A entrambe le potenze mandatarie sembrò opportuno suddividere le regioni affidate alla loro dominazione. A nord i francesi, dopo qualche esperimento, istituirono lo Stato separato del Libano e conservarono il nome di Siria per quel che restava. A sud la Gran Bretagna creò uno Stato separato a est del fiume Giordano, a cui fu imposto il nome di Transgiordania, e mantennero il nome di Palestina per il residuo territorio a ovest del fiume. Malgrado qualche innovazione terminologica il dominio franco-britannico si mantenne saldo per tutto il periodo tra le due guerre mondiali e sopravvisse con qualche difficoltà anche alla seconda. I paesi in questione sono diventati nazioni e, in un certo senso, Stati durante la dominazione franco-britannica; hanno conseguito l’indipendenza quando tale dominazione fu interrotta in maniera decisiva dalle conseguenze della seconda guerra mondiale.”

Leggere e imparare da decani come Bernard Lewis, a prescindere da giudizi o idee politiche, significa innanzitutto fare i conti con la realtà. Ed è questa a dirci che oggi l’unica democrazia del Medio Oriente è il rinato Stato degli Ebrei.

Israele e la sua “eccezionalità” nel contesto mediorientale. “Fin dalla proclamazione dello Stato nel 1948, i rapporti di Israele con tutti o quasi i suoi vicini sono caratterizzati da uno stato di guerra esploso frequentemente in conflitto armato. Nei territori sottoposti alla sua dominazione, e addirittura entro i suoi confini originari, lo Stato di Israele esercita la propria sovranità su una considerevole popolazione affine a quegli stessi vicini per lingua, religione, cultura e solidarietà. In una situazione del genere le forze armate esercitano inevitabilmente una forte influenza e, in una regione dove i colpi di Stato sono la regola, ci si poteva aspettare che i generali, o i colonnelli, israeliani avrebbero prima o poi seguito la tendenza impadronendosi del potere, tanto più che il sistema elettorale israeliano, fondato sulla rappresentanza proporzionale, con la sua mesta storia di squallide polemiche, pressioni di gruppo, precarie coalizioni e immobilismo ricorrente, avrebbe potuto far sembrare ragionevole, o addirittura auspicabile, una simile presa del potere. Ma le cose non sono andate così e Israele, malgrado lo stato di semimobilitazione permanente, o forse proprio per questo, rimane una società aggressivamente civile.”




La politica estera di Israele. “La politica estera di Israele è passata per diverse fasi, influenzate più dall’evolversi della situazione regionale e mondiale che da trasformazioni politiche interne. Fin dall’inizio, evidentemente, Israele ha potuto disporre di una libertà di manovra di gran lunga inferiore a quella dei suoi vicini. Il nuovo Stato doveva tener conto della situazione delle comunità ebraiche sparse per il mondo che, alla fine degli anni quaranta e all’inizio dei cinquanta, era ancora molto precaria; dell’implacabile ostilità degli Stati arabi e, in una certa misura, anche di altri Stati musulmani; e dell’atteggiamento genericamente non amichevole dell’Unione Sovietica e dei suoi satelliti in Europa e altrove. Tanto il governo quanto la popolazione di Israele si sono sempre resi conto dei costi terribili di un eventuale errore di calcolo, maggiori che per qualsiasi altro paese del mondo. Obiettivo fondamentale della politica estera di Israele era la sopravvivenza in un ambiente ostile: i margini di discussione riguardavano soltanto i mezzi per conseguire il fine. C’era una generale concordanza di vedute sulla valutazione che il modo migliore per arrivare allo scopo consistesse in una politica filoccidentale e più specificatamente filostatunitense. In effetti l’ostilità attiva dell’Unione Sovietica e il freddo distacco della maggior parte dell’Europa occidentale non lasciavano ai dirigenti politici israeliani alcuna reale alternativa.”

Le sfide attuali. La storia del Medio Oriente ha quasi sempre visto l’alternanza tra il dominio delle popolazioni degli altipiani (per esempio bizantini e sasanidi o ottomani e safavidi) e dei due poli opposti della Mezzaluna Fertile (Egitto e Mesopotamia). Oggi l’area più evoluta e stabile è rappresentata dallo Stato di Israele, posto nella zona mediana. È una fase intermedia tra i due cicli storici o siamo di fronte ad una nuova pagina della storia di questa regione? Il tempo lo dirà.

In onore di Bernard Lewis, morto il 19 maggio 2018 a Voorhees Township, nel New Jersey, dodici giorni prima del suo 102esimo compleanno.

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