Amos Oz è stato tra i più celebrati scrittori israeliani degli ultimi decenni e, insieme ai due colleghi David Grossman e Abraham Yehoshua, ha rappresentato il tipico esempio dell’artista-intellettuale progressista molto critico nei confronti dello Stato ebraico, seppure dichiaratamente sionista, che così tanto è piaciuto e piace all’Europa post-identitaria e filo palestinese di oggi, e soprattutto al milieu salottiero accademico, politico e letterario degli esecratori professionisti di Israele.
Amos Oz, come Yitzhak Rabin e Shimon Peres era già in vita una icona, quasi un santino, quello dell’uomo dello slancio e della speranza, della spem contra spem, o meglio, dello sprezzo della realtà. Non fu responsabile, come Rabin e Peres, di avere prelevato dal cono d’ombra in cui era finito, il lord of terror Yasser Arafat, per insediare lui e la sua organizzazione criminale nel cuore di Israele, ma fu responsabile di tanti bei gesti, pensieri e parole che hanno costantemente negato la verità dei fatti, cercando di piegare la loro proterva indocilità alle sue nobili astrazioni. In questo assomigliava un po’ a Judah Leib Magnes, rabbino e pacifista, fondatore e cancelliere dell’Università ebraica di Gerusalemme, il quale, nel 1926, fondò insieme a Martin Buber, il movimento Brit Shalom (alleanza per la pace) il cui obbiettivo era quello di creare in Palestina un ponte tra ebrei e arabi. Nel 1929, il movimento si stava già disintegrando sotto la pressione dei tumulti arabi e delle 130 vittime ebree che essi provocarono. Nel 1948, durante la guerra civile tra arabi e israeliani Magnes capì che i suoi ideali si erano infranti definitivamente. La realtà, nella sua incalzante brutalità, aveva smentito tutti i suoi assunti.
Il 21 giugno del 1982, Oz scrisse su Yediot Aharonot una lettera aperta a Menachem Begin, quando la guerra del Libano era iniziata da sedici giorni, lettera in cui lo scrittore faceva presente al primo ministro in carica che Hitler era morto da 37 anni e la morte di migliaia di arabi non avrebbe guarito la “ferita intatta” di non avere potuto uccidere con le proprie mani il dittatore nazista.
Già, gli arabi e la sofferenza a loro inflitta, sono sempre stati al centro dei pensieri di Amos Oz, del suo umanesimo incondizionato, e dunque sterile, autoreferente. È sempre lui che, in un’altra occasione, inviò in carcere al pluriomicida Marwan Baraghouti, a capo, durante la Seconda Intifada, delle sezioni più estremiste di Fatah, la Brigata Tanzim e quelle dei martiri di Aksa, responsabili dell’uccisione di più di cento persone soprattutto civili tra il 2001 e il 2006, una copia del suo libro più famoso Una storia di amore e di tenebra. Il libro era accompagnato da una dedica sentita, “Questa storia è la nostra storia. Spero che la leggerai e ci capirai meglio come noi cerchiamo di capire te. Sperando di incontrarci presto in pace e libertà”. Pace e libertà con chi ha fondato la propria ragione d’essere sull’odio per Israele. Ma per Amos Oz la volontà omicida arabo-palestinese era convertibile in bene.
Nel 2010, in un intervento pubblicato sul New York Times definì Hamas “Non solo una organizzazione terroristica. Hamas è una idea disperata e fanatica nata dalla desolazione e dalla frustrazione di molti palestinesi”. L’Islamismo, la fedeltà assoluta a un idea di mondo fondata sulla sottomissione piena, politica, civile, religiosa, al volere di Allah, il profondo compatto antisemitismo nato da una fusione tra quello teologico coranico e quello di importazione nazista, tutto questo, per lo scrittore israeliano era “una idea disperata e fanatica nata dalla desolazione e dalla frustrazione”.
Nel 2016 fece sapere al Ministero degli Esteri israeliano che non avrebbe più partecipato ad eventi sponsorizzati dal governo in carica ritenuto, contro ogni evidenza, il principale responsabile della pace interrotta. A chi gli chiese se questa decisione non avrebbe rafforzato gli adepti del movimento di boicottaggio contro Israele, Oz rispose candidamente che lui non sosteneva il BDS, come se dissociarsi dalle iniziative promosse dal governo in carica non avrebbe portato acqua al mulino degli odiatori professionisti, di coloro che cercano costantemente di danneggiare Israele con parole e fatti.
In compenso è stato orgoglioso sostenitore di B’Tselem, la ONG israeliana di estrema sinistra finanziata con capitali stranieri che da anni ha come obbiettivo quello di presentare Israele come uno stato criminale, e il cui direttore, Hagai El-Ad, l’ottobre scorso all’ONU, seduto accanto a Riad Mansour, rappresentate del virtuale Stato palestinese attaccava il suo paese costringendo Benjamin Netanyahu a dichiarare:
“Mentre i nostri soldati si preparano a difendere Israele, il direttore di B’Tselem sceglie di dare all’ONU un discorso pieno di menzogne in un tentativo di aiutare i nemici di Israele. La condotta di B’Tselem è una disgrazia che verrà ricordata come un breve e temporaneo episodio nella storia della nostra nazione.”
Ripetendo il verbo di B’Tselem, nel 2016, Oz scriveva in una lettera, “L’occupazione quest’anno compie già 49 anni. Sono certo che debba finire al più presto per il futuro dello Stato di Israele, un futuro a cui dedico il mio impegno profondo. In considerazione delle politiche sempre più estreme del governo israeliano, chiaramente intenzionato a controllare i territori occupati espropriandoli alla popolazione locale palestinese, ho appena deciso di non partecipare più ad alcuna iniziativa in mio onore delle ambasciate israeliane del mondo”.
Testo grossolano, da travet della propaganda, perché si può essere scrittori di talento e al contempo mediocri portavoce delle parole altrui, in cui rifulgono falsità palesi. Oz, infatti non poteva non sapere che quell’”occupazione” di cui parlava, il feticcio persistente della propaganda palestinese e fatto proprio dalla sinistra occidentale è una menzogna ricorrente, venuta meno definitivamente con gli Accordi di Oslo del 1993-1995 e la ripartizione della Cisgiordania in tre aree separate, di cui l’Area A, sotto piena sovraintendenza palestinese, quella B sotto gestione mista e solo quella C, che in un futuro accordo verrebbe comunque ceduta a Israele, interamente sotto tutela israeliana. Così come non poteva non sapere che mai nessun accordo aveva destinato la Cisgiordania a un futuro Stato palestinese, ma semmai la Conferenza di San Remo del 1920 e il Mandato Britannico per la Palestina del 1922 l’avevano destinata al popolamento ebraico.
Diversamente da Judah Leib Magnes, che si riebbe dalle illusioni giovanili e tornò negli Stati Uniti per morirvi, con il timore che gli arabi avessero tutto il tempo a disposizione per distruggere Israele (e i fatti gli diedero terribilmente ragione, nel 1967 e poi ancora nel 1973, e poi di nuovo con le due intifade), Amos Oz non si è mai riavuto, passando dalla mobilità dell’utopia, alla rigidità dell’ideologia.