Nel corso degli ultimi anni si è talmente radicata la convinzione che Israele “occupi” i territori di Giudea e Samaria che questa tesi è diventata una certezza in tutti i contesti relativi a Israele e/o al Medio Oriente. Tale convinzione è talmente radicata anche negli ambienti ebraici della diaspora e in Israele stesso – soprattutto in quelli di sinistra – che la si considera una certezza fattuale.
Da questo concetto di “occupazione” sono discese diverse altre affermazioni politiche come: “occupazione illegale”, “occupazione dei territori palestinesi”, “insediamenti illegali” e “insediamenti ostacolo alla pace” e concetti affini.
Del fatto che non si possa parlare di “occupazione” ne tanto meno di “occupazione illegale” ne abbiamo parlato diverse volte qui su L’Informale (http://www.linformale.eu/loccupazione-secondo-il-diritto-internazionale/; http://www.linformale.eu/giudea-e-samaria-analisi-legale/; http://www.linformale.eu/la-terra-di-israele-e-il-diritto-internazionale/). Qui ci occuperemo solamente del motore primo di tale mito, cioè di come è nata questa autentica leggenda che, nel corso dei decenni, è diventata un formidabile strumento per delegittimare Israele, soprattutto, ad opera di numerose amministrazioni USA, poi da parte dell’ONU e della UE.
Questa fiction, dai devastanti risvolti politici, nasce all’indomani della guerra dei Sei giorni con la quale Israele, benché aggredito da numerosi paesi arabi, riuscì a riconquistare i territori di Giudea e Samaria in quel momento occupati illegalmente, fin dal 1948, dalla Giordania. Il regista della fiction è Meir Shamgar, l’allora avvocato generale dell’esercito di Israele, poi diventato procuratore di Stato e presidente della Corte Suprema. Fu Shamgar a decidere che tutti i territori conquistati da Israele al termine della guerra sarebbero amministrati allo stesso modo: secondo quanto disposto dalle Convenzioni dell’Aia e di Ginevra che regolano i territori occupati dopo un conflitto, a prescindere dal fatto che i vari territori conquistati da Israele (Giudea, Samaria, Striscia di Gaza) appartenevano già al popolo ebraico secondo il diritto internazionale e quindi dovevano essere amministrati in modo differente (in base alla legge civile israeliana) rispetto agli altri territori conquistati (Golan e Sinai) che dovevano essere amministrati, sempre per il diritto internazionale, secondo i dettami dell’occupazione militare.
Senza ombra di dubbio le pressioni internazionali giocarono un ruolo molto importante in questa decisione ma l’errore legale è da attribuire in ultima analisi a Shamgar e all’esecutivo di unità nazionale presieduto da Levi Eshkol. Infatti, quando fu presa questa decisione (che non ha basi nel diritto internazionale) poche settimane dopo la fine dei scontri armati, lo stesso esecutivo decideva per l’estensione della sovranità israeliana nella parte est di Gerusalemme (28 giugno 1967) con il Law and Administration Ordinance (Amendment No. 11). Perché questo doppio standard? Se erano territori “occupati” quelli di Giudea e Samaria lo era senza dubbio anche la parte est di Gerusalemme. La ragione fu squisitamente politica: mentre, per l’esecutivo Eshkol, Gerusalemme non era negoziabile, i territori di Giudea e Samaria lo erano. Almeno fino ai tre no di Khartoum nel settembre del ’67. Questo azzardo politico avrebbe dovuto essere corretto subito dopo l’intransigenza araba nel non voler riconoscere Israele, la cosa non fu fatta e oggi si raccolgono i frutti avvelenati di questa decisione.
Quando fu presa la decisione di amministrare Giudea e Samaria in base alle leggi di guerra, essa fu motivata dall’esecutivo non tanto perché era obbligato a farlo ma perché era più “utile”. Nella motivazione resa pubblica (“Legal Concepts and Problems of the Israeli Military Government – the Initial Stage”) non c’è nessun riferimento a leggi internazionali che obbligavano alla scelta ma solo alla decisione governativa. In pratica, il governo di Israele dichiarava che non era tenuto a farlo ma lo faceva perché era meglio per la popolazione. Tuttavia il governo non si premurò di spiegare perché Israele avesse tutti i diritti legali su quelle terre, ovvero, la Risoluzione di Sanremo del 1920 e i dettami del Mandato per la Palestina del 1922 cioè le stesse basi legali della presenza ebraica in tutta la terra ad ovest del Giordano.
Questo fu solo il primo di una serie di clamorosi abbagli che hanno portato al mito dei “territori occupati”. L’equivalente accademico dell’errore politico del governo Eshkol, fu il lavoro del prof. Yoram Dinstein dell’Università di Tel Aviv (uno dei professori di diritto più rinomati di Israele). La sua tesi fu espressa in modo chiaro nell’articolo “Zion shall be Redeemed in International Law”, che fu pubblicato nella rivista HaPraklit nel marzo del 1971. In esso Dinstein sosteneva che Israele era una forza occupante perché il territorio apparteneva “legalmente alla Giordania” anche se l’aveva acquisito tramite una guerra d’aggressione (quindi illegalmente). Il motivo addotto? Secondo Dinstein, la Risoluzione 181 (che non ha nessun valore legale) dava al popolo palestinese (all’epoca ancora inesistente) il diritto di scegliere chi dovesse amministrare il territorio affidato agli arabi dalla comunità internazionale (anche se non aveva il potere legale per farlo), e i notabili arabi (che in realtà non avevano nessun potere decisionale) scelsero la Giordania anche se ex post l’invasione (e a prescindere dalla reale volontà della locale popolazione). Perciò, sulla base di queste inesistenti motivazioni legali, Israele diventava, per il professore di Tel Aviv, una “potenza occupante” e i territori di Giudea e Samaria “territori occupati”. Questa tesi molto creativa, con alcune varianti, fu poi ripresa da molti giuristi israeliani, formatisi alla scuola di Dinstein, e soprattutto dal consulente legale dell’amministrazione Carter, Herbert Hansell, che nel 1978 scrisse il suo famoso memorandum che è divenuto la base della posizione politica ufficiale americana in merito ai “territori” e agli “insediamenti”. Nel suo memorandum Hansell sosteneva che Israele era una “potenza occupante” e quindi gli “insediamenti violavano l’articolo 49 (6) della IV Convenzione di Ginevra.
Va sottolineato che queste conclusioni sono state applicate unicamente ad Israele, tanto è vero che il giurista americano non fa nessun altro esempio per corroborare la propria tesi. Questa tesi, tuttavia, fu immediatamente fatta propria dall’ONU, dalla CEE e da gran parte della comunità internazionale.
Una cosa importante va evidenziata: sia nell’articolo di Dinstein che nel memorandum di Hansell la posizione di Israele da “occupante” a “legittimo sovrano” dei territori poteva avvenire in caso di accordo di pace con la Giordania, cosa che effettivamente avvenne nel 1994 con il trattato di pace tra Israele e Giordania con il quale la Giordania rinunciava formalmente alla sovranità su Giudea, Samaria e Gerusalemme (anche se non l’ha mai avuta legalmente), ma nonostante ciò, per la comunità internazionale, Israele è ancora una “potenza occupante”. Ciò fa ben comprendere i danni politico-diplomatici causati da un inesistente mito creato all’interno di Israele stesso. Nessuno si è mai prodigato a verificare la fondatezza di tale accusa: può bastare l’accusa in sé per demonizzare Israele, anzi il suo scopo era proprio questo.
Un’altra importante puntata di questa fiction pseudo legale, l’ha fornita la Corte Suprema di Israele grazie al suo Presidente di allora: Aharon Barak, il quale, in almeno due sentenze (the case of Beit Sourik Village Council v. the Government of Israel, HCJ 2056/04 (judgment rendered on June 30, 2004); case of Gaza Coast Regional Council v. Knesset of Israel, HCJ 1661/05 (judgment rendered on June 9, 2005), dichiarò Giudea, Samaria e Gaza “territori occupati” senza fornire alcuna informazione in merito su chi detenesse la sovranità prima della presunta “occupazione” israeliana. In pratica, per Barak, Israele ha “occupato dei territori” senza specificare a chi appartenessero precedentemente.
Bisogna ricordare che il termine “occupazione” è un termine legale e quindi non lo si può usare a casaccio come fanno i politici, gli esperti e i giornalisti per meri scopi propagandistici.
Quando un giudice usa il termine “occupazione” deve fornirne tutti i dettagli legali. Tale modo di procedere è stato utilizzato contestualmente anche dalla Corte di Giustizia Internazionale in occasione della suo parere consultivo a proposito della barriera di sicurezza del 2004. Ciò fa ben capire come il diritto – solo nel caso di Israele – sia stato nei fatti soppiantato dalla fiction.
La conseguenza è stata quella di avere spostato subito a livello internazionale la suddetta tesi (l’occupazione) ingigantendola in modo sempre più accusatorio e falso. Dai “territori occupati” si è quindi passati, nel corso degli anni, al concetto di “occupazione illegale”, poi di “occupazione illegale dei territori palestinesi” e via via al concetto “insediamenti illegali” o “insediamenti ostacolo alla pace” anche se il concetto di “insediamento” non esiste nel diritto internazionale.
Come risulta chiaro da quanto esposto, un termine legale (occupazione) è stato deformato per diventare strumento politico e morale per accusare Israele di agire in modo abietto: appunto occupare illegalmente un territorio che non gli appartiene.
Questa convinzione generale ha avuto, come specificato all’inizio, la sua origine in seno allo Stato ebraico, non gli è stata applicata da nemici esterni. Costoro hanno soltanto trovato pronto su un vassoio d’argento il corpo contundente che non hanno mai smesso di utilizzare.