Dopo Richard Pipes, deceduto giovedì scorso, ci lascia un altro grande studioso del Novecento, il decano degli islamologhi, Bernard Lewis. Se ne sono andati, questi due uomini carichi di anni, (Pipes a 94 anni, Lewis a 101) a pochi giorni di distanza uno dall’altro. Entrambi ebrei, entrambi profondi conoscitori delle loro materie, entrambi docenti nelle due grandi alma mater americane, Pipes a Harvard e Lewis, per un periodo di docenza minore rispetto a quello del suo collega, a Princeton.
La smisurata conoscenza dell’Islam di Bernard Lewis non era seconda al suo sguardo sempre più disincantato nei confronti del Medio Oriente e in modo speciale del mondo islamico. Nel 1954, quando era ancora un funzionario del Foreign Office, tracciò un fulminante parallelo tra la struttura totalitaria del comunismo e quella islamica per poi, nel corso degli anni mutare atteggiamento, farsi a volte più indulgente se non addirittura omissivo, in modo particolare riguardo all’istituto della dhimmitudine, sulla quale Bat Ye’or ha scritto cose imprescindibili. Eppure, Lewis, (il quale prese, va detto, una cantonata sugli accordi di Oslo che salutò favorevolmente), ebbe a dire che l’avanzata islamica in Europa procedeva assai celermente e che l’unica domanda da porsi, sotto questo aspetto, riguardo al futuro dell’Europa era, “Sarà una Europa islamizzata o un Islam europeizzato?”. La risposta in realtà la conosceva già. “Gli europei stanno perdendo le loro lealtà e la loro autostima”, proni al “politicamente corretto, al multiculturalismo e al meaculpismo”. D’altronde, in un memorabile articolo-saggio dal titolo The Return of Islam che pubblicò su Commentary il 1 gennaio del 1976 scriveva:
“Altri possono ricevere la tolleranza, e anche la benevolenza dello Stato musulmano, a patto che riconoscano chiaramente la supremazia islamica. Che i musulmani debbano governare su i non musulmani è giusto e normale, che i non musulmani debbano governare su i musulmani è un’offesa contro le leggi di Dio e della natura, e questo è vero sia in Kashmir, che in Palestina, in Libano o a Cipro. Ancora una volta deve essere ricordato che l’Islam non è da considerarsi come una religione nel senso limitato occidentale, ma come una comunità, una fedeltà, e un modo di vita, e che la comunità islamica si sta ancora riprendendo dal periodo traumatico quando i governi e gli imperi musulmani vennero rovesciati e i popoli musulmani vennero costretti con la forza alle leggi degli infedeli, a loro estranee. Sia il popolo del sabato che quello della domenica stanno soffrendo oggi le conseguenze di tutto ciò.”
Sono passati quarantadue anni da quell’articolo, e sia gli ebrei e i cristiani, soprattutto in Medioriente, hanno pagato un prezzo enorme, e i cristiani lo stanno ancora pagando, a causa dell’intolleranza islamica. Gli ebrei si sono dotati di uno Stato, Israele, che nel corso degli anni è stato obbligato a diventare la potenza mediorientale più forte militarmente, i cristiani, comunità sparse, non hanno avuto questa fortuna.
Quale fosse il nodo della questione relativamente a Israele, Lewis lo scrisse nel 2008 in un articolo per Foreign Affairs “Se il conflitto riguarda la grandezza di Israele, allora dei negoziati lunghi e difficoltosi potranno eventualmente risolvere il problema, ma se il conflitto riguarda l’esistenza di Israele, allora un negoziato serio è impossibile. Non può esserci una posizione di compromesso tra l’esistenza e la non esistenza”.
E’ il nodo che è rimasto aggrovigliato ancora oggi.