Editoriali

I firmatari ebrei della lettera appello contro Israele

“Nel prossimo maggio lo Stato d’Israele compirà 70 anni. Se per molti ebrei la memoria del maggio ‘48 sarà quella di una rinascita portentosa dopo la Shoà e un’oppressione subita per molti secoli, i palestinesi vivranno lo stesso passaggio storico ricordando con ira e umiliazione la Nakba, la “catastrofe”: famiglie disperse, esistenze spezzate, proprietà perdute, il tragico inizio dell’esodo di una popolazione civile di oltre settecentomila persone”.

Così inizia la lettera appello pubblicata su Micromega e sottoscritta da oltre una trentina di firmatari ebrei, in occasione del prossimo Giro di Italia che partirà da Gerusalemme oggi per onorare la memoria di Gino Bartali, riconosciuto da Yad Vashem come un giusto tra le nazioni per la sua opera di soccorso nei confronti di cittadini ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. Opera sulla quale i firmatari, tuttavia sollevano dei dubbi affermando che essa non sia “ben documentata”. Insinuazione riprovevole la quale ha un unico scopo, quello di delegittimare il presupposto stesso dell’iniziativa di Israele. Ma è tutta la lettera appello ad essere costruita, con forzature, omissioni, e menzogne, come una delegittimazione dello Stato ebraico, sulla base della “coscienza illuminata” immancabilmente di sinistra, di un gruppo di ebrei della diaspora italiana.

L’incipit della lettera è devastante. Trovare associate nella stessa frase una tragedia colossale e unica per modalità, finalità, implicazioni storiche, politiche, filosofiche e teologiche, con l’esodo di 700,000 arabi dalla Palestina a causa della guerra del 1948, e eretto nel corso dei decenni in monumento della vittimologia palestinese unicamente a scopo politico, è insopportabile. Nulla viene detto della tragedia parallela, e più ampia per estensione, di tutti gli ebrei, 820,00 circa, espulsi dagli arabi dall’Egitto, dall’Iraq, dalla Libia, dalla Siria, dallo Yemen, dall’Algeria, tra il 1948 e il 1972 di cui non esiste ad oggi un solo rifugiato. Questa catastrofe non è, ovviamente, rilevante. Ci sono la Shoah, di cui i vorrebbe fare credere che sia stata strumentale alla nascita di Israele (tesi araba e complottista) e la Nakba. Può bastare.

Altri sono i punti degni di considerazione, per così dire.

“Molto problematica è in particolare oggi la situazione di Gerusalemme, città che Israele, dopo averne annesso la parte orientale, celebra come “capitale unita, eterna e indivisibile”. Tale statuto, oltre a non essere riconosciuto dalla stragrande maggioranza dei governi mondiali, secondo i dettami dell’accordo di Oslo del 1993 doveva essere oggetto di negoziati fra le parti in causa. Gerusalemme Est resta quindi, secondo le norme internazionali, una città occupata con i suoi 230.000 ebrei che vi abitano in aperta violazione delle suddette norme. A rafforzare la pretesa del governo israeliano su Gerusalemme e a infliggere l’ennesima pugnalata al già moribondo processo di pace è calata nel dicembre 2017, come un colpo di maglio, l’iniziativa di Donald Trump di riconoscere ufficialmente la città quale capitale dello Stato d’Israele: una decisione che ne trascura completamente la complessità simbolica, ne ignora la natura molteplice e la condizione giuridica, obliterando l’esistenza dei suoi residenti arabi palestinesi (quasi 350.000, tre quarti dei quali vivono al di sotto della soglia della povertà, privi del diritto di acquistare terreni, costruire o ingrandire le proprie abitazioni – da cui spesso, anzi, vengono scacciati – e di prendere parte alle elezioni in Israele)”

Occorrerebbe spiegate a chi ha scritto la lettera e ai firmatari che la sottoscrivono zelanti, che la definizione di “occupata” relativa a Gerusalemme Est, dove, va ricordato per inciso, si trova il Muro Occidentale, o Kotel, il luogo più santo per l’ebraismo, e applicata anche alla Cisgiordania, è altamente problematica e contestata da autorevoli giuristi, tra cui vale la pena ricordare Julius Stone, Howard Grief, Eyal Benevisti. Il termine “occupazione” fatto proprio dall’ONU e presente nelle sue risoluzioni avverse a Israele, le quali sono prive di valenza impositiva sotto il profilo del diritto internazionale, suggerisce che Israele si troverebbe su un territorio sul quale non ha legittimità, ma perché questo possa essere affermato sarebbe necessario che ci fosse un detentore sovrano spodestato. Si tratta forse della Giordania che occupò abusivamente Gerusalemme dal 1948 al 1967, escludendovi ogni presenza ebraica? Si tratta forse del popolo palestinese emerso come soggetto politico dopo la Guerra dei Sei Giorni? Singolare definire “occupante” il popolo che liberò da una presenza del tutto illegale, quella giordana, dopo una guerra di aggressione, una porzione della città a cui è legato indissolubilmente storicamente e culturalmente da millenni.

Per quanto invece riguarda la decisione di Donald Trump del 6 dicembre 2017, di riconoscere Gerusalemme capitale di Israele, il presidente americano si è limitato a porre in essere una legge bipartisan ferma al Congresso dal 1996, la quale non fa altro che certificare una realtà empirica in essere dal 1948, che Gerusalemme, essendo la sede del governo, della Corte Costituzionale, della residenza del presidente dello Stato ebraico è, a tutti gli effetti, come ogni altra città del mondo in cui si trovano accorpati questi fattori, oggettivamente la capitale dello Stato. Trump ha esplicitato chiaramente che la sua decisione non determina in alcun modo lo statuto finale della città relativamente ai suoi confini.

“La pugnalata al già moribondo processo di pace“ assestata da Trump è una pura fantasia, semmai è il contrario. E’ solo sulla base di un contatto diretto con la realtà, sottraendola all’ideologia, che si può fare avanzare la pace. Ma una cosa, l’unica in questa lettera appello, è vera, il processo di pace è effettivamente moribondo. lo è dal 1948 e molto prima, fin dagli anni ’30, e consiste nel persistente rigetto arabo e islamico nei confronti del diritto all’esistenza di Israele, mai accettato da nessun leader arabo. L’Autorità Palestinese si è limitata, bontà sua, a riconoscerne che Israele esiste come realtà geografica. Straordinario.

Quanto ai 350,000 arabi palestinesi residenti a Gerusalemme Est e presentati come umiliati e offesi, non viene certo spiegato che essi vivono a Gerusalemme in condizioni infinitamente migliori rispetto a qualsiasi altro paese mediorientale, e che la loro impossibilità di votare, in quanto per la legge israeliano si tratta di “residenti permanenti” e non cittadini a tutti gli effetti, consente loro tuttavia di beneficiare di vari diritti civili, del welfare, della sanità e dei servizi municipali. Viene naturalmente omesso che tutti hanno un passaporto giordano e che per diventare cittadini israeliani devono rinunciare a questo passaporto cosa che la maggioranza di essi non vuole fare. Viene altresì omesso che sempre la maggioranza dei palestinesi residenti a Gerusalemme Est, malgrado le oggettive difficoltà poste in essere da Israele per la loro naturalizzazione, rifiuta questa possibilità di normalizzazione in ragione di motivi puramente ideologici.

Tuttavia il culmine della lettera appello è contenuto in questo paragrafo:

“Infine, ciliegina sulla torta, è del 16 marzo la notizia che la Commissione giustizia della Knesset sottoporrà, nelle prossime settimane, al parlamento un pacchetto di leggi che trasformano definitivamente Israele in uno “stato ebraico”, abolendo così una volta per tutte la tanto fastidiosa parola “democratico” dal suo statuto e facendo in tal modo, finalmente, “chiarezza” sulla propria natura: sempre, è ovvio, per festeggiare il 70° anniversario. Tale passaggio sancirà, ancora definitivamente, l’esclusione dai diritti dei non ebrei residenti in Israele e faciliterà alle istituzioni preposte il compito di sbarazzarsi innanzitutto dei palestinesi ma anche degli immigrati non graditi”.

Sì ipotizza che la legge in esame alla Knesset sia una legge di stampo etnonazionalisa e di impostazione antidemocratica. Legge che, secondo i firmatari della lettera, renderà i non ebrei, privi di diritti, si “sbarazzerà” dei palestinesi e, ovviamente, degli immigrati “non graditi”. Della sorte che verrà riservata agli omosessuali e ai disabili non viene fatta menzione. Ci auguriamo che questo nuovo stato, una versione del Terzo Reich in versione ebraica, (finalmente è fatta “chiarezza” sulla sua natura), non proceda immediatamente con leggi come quelle di Norimberga del 1935 a cui seguiranno inevitabilmente la pulizia etnica dei palestinesi residenti permanenti a Gerusalemme Est e di quelli che dimorano in Cisgiordania.

Al di là della propaganda, il principio fondamentale della legge che verrà votata, è semplicemente l’affermazione della specificità ebraica di Israele fondata sull’autodeterminazione del popolo ebraico in quanto tale, nel rispetto pieno di tutti le altre minoranze. L’Articolo D del testo di legge afferma esplicitamente che “Lo Stato di Israele è uno stato democratico, stabilito sulle fondamenta della libertà, della giustizia e della pace alla luce della visione dei profeti di Israele e realizza i diritti individuali di tutti i suoi cittadini sotto la legge.”

Ma per la “illuminate” coscienze ebraiche della diaspora italiana che hanno firmato la lettera appello di Micromega, uno stato che si definisce fondamentalmente ebraico, in perfetta continuità con le prerogative del sionismo, è una minaccia alla loro visione di una società basata su di un meticciato multietnico e priva di una connotazione identitaria e nazionale forte. Lo si può capire. Israele, come gli Stati Uniti, rappresenta per la visione europea attuale imbevuta di ideologismo progressista un relitto del passato, una realtà da superare.  Come ha lucidamente spiegato in una intervista di qualche tempo fa Georges Bensoussan:

“In Occidente il sionismo è sempre più delegittimato e in particolare per gli Europei. Io credo per una ragione in particolare e cioè che il sionismo, nella sua ambizione di costruire il proprio Stato nazionale, va contro l’attuale tendenza europea che consiste invece nel superamento dello Stato nazionale come è stato inteso sino a poco tempo fa. Queste due opposte tendenze fanno sì che per gli europei il sionismo sia attualmente incomprensibile, appunto perché viene considerato anacronistico. Da una parte c’è l’Europa che va verso una federazione di stati, verso un’integrazione, e dall’altra c’è il sionismo che invece va esattamente all’opposto, collocandosi quindi a controcorrente di un’evoluzione, per apparire agli occhi degli europei come un movimento retrogrado, simbolo di un modello arcaico di apartheid e di conseguenza come una forma di razzismo. Questa è una delle ragioni di fondo che secondo me tendono a delegittimare il sionismo”.

La lettera appello di Micromega, ci offre, se ce ne fosse ancora bisogno, lo spaccato di un ebraismo europeo sclerotizzato e ideologizzato che non sa capire e difendere Israele perché, contrariamente allo Stato ebraico, da troppo tempo ha smarrito irrimediabilmente la propria identità.

http://temi.repubblica.it/micromega-online/70-anniversario-di-israele-la-lettera-di-denuncia-di-32-ebrei-italiani/

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