Quando si parla della Jewish Brigade, di solito si pensa a quel contingente di cinquemila soldati volontari che arrivarono dalla Palestina Mandataria e combatterono sul fronte italiano negli ultimi mesi di guerra (marzo-aprile 1945), regolarmente arruolati nell’esercito inglese di cui vestirono la divisa, ma con sopra cucita la stella di David sulla bandiera a strisce azzurre di Israele. In verità il contributo che quei soldati diedero alla conclusione del conflitto in Europa non si limitò ai combattimenti nella zona del Senio in Romagna, con atti di vero e proprio eroismo individuale, ma andò ben oltre: dall’aiuto materiale e morale che essi fornirono a migliaia di sopravvissuti alla Shoah; all’organizzazione di viaggi clandestini in nave verso la Palestina per tutti gli ebrei che lo desideravano; alla ricerca ed eliminazione di nazisti criminali di guerra che si erano nascosti; fino al trasferimento delle armi che sarebbero servite a garantire l’ indipendenza e la sicurezza del nuovo Stato d’ Israele già nella guerra del 1948.
Fu proprio questo loro complessivo impegno militare, sostenuto dal solidarismo tipicamente ebraico e dall’ideologia sionista e patriottica, che fece dire a Ben Gurion: “Senza gli ufficiali e i soldati della Brigata ebraica, dubito che avremmo potuto costituire la forza di difesa israeliana in così breve tempo e in un momento tanto burrascoso”. La Brigata, dunque, formò il primo nucleo dell’ esercito israeliano, che dal 1948 in poi si sarebbe sempre battuto con straordinaria efficienza per impedire un nuovo sterminio non più di matrice ariana bensì islamica.
La nascita della Brigata
Gli ebrei della Palestina Mandataria si erano già mobilitati a partire dal 1940, quando l’ Italia era sciaguratamente entrata in guerra a fianco della Germania nazista ed aveva iniziato il bombardamento di Tel Aviv e delle raffinerie di Haifa. E’ dunque dal giugno di quell’anno che partì l’ arruolamento volontario nelle compagnie di fanteria dell’ esercito inglese. Tranne i partiti dell’ estrema sinistra che non intendevano partecipare ad una “guerra imperialistica”, sia il grande partito socialista, guidato da Ben Gurion, che i Sionisti Generali di Weizmann decisero di sostenere le forze britanniche e di promuovere fortemente il volontariato degli ebrei dell’ Yshuv. Così, nell’ agosto 1942, più di ventimila ebrei palestinesi erano arruolati nel RASC ( Royal Army Service Corps) ed ebbero poi un ruolo fondamentale nella campagna d’ Egitto; e soprattutto furono i primi soldati ad esporre la stella di David sui loro mezzi di trasporto (ma solo al termine della guerra del Deserto, un anno dopo, il comando inglese sancì ufficialmente il diritto per loro di usare la stella di David, che veniva decorata in modo diverso per distinguere le varie compagnie).
Quando il 5 giugno 1944 Roma fu liberata, le compagnie del RASC, che avevano combattuto a Montecassino, marciarono orgogliosamente nelle strade della capitale insieme alla 5a Armata americana. Quei soldati che provenivano dalla Palestina, poi, si adoperarono per la riapertura del Tempio Maggiore e dettero lezioni di ebraico ai bambini della scuola elementare Vittorio Polacco.
Finalmente, il 3 luglio 1944 il governo inglese, su pressione dello stesso Winston Churchill, acconsentì alla nascita di una Brigata Ebraica di Combattimento (Jewish Brigade Group), ovvero una vera e propria brigata indipendente di fanteria il cui teatro di guerra sarebbe stato l’ Italia. A tal proposito, vi è una corrispondenza tra il Primo ministro e Weitzmann in cui si parla delle proposte dell’ Agenzia Ebraica per la creazione della Brigata e finanche del tipo di bandiera che sarebbe stata adottata. Nell’agosto dello stesso anno, Weitzmann inviò a Churchill un disegno della bandiera che era allora quella del movimento sionista e che poi diventerà dello Stato d’ Israele. Successivamente Churchill rispose che la bandiera con la stella di David su due bande azzurre e sfondo bianco sarebbe stata portata in Italia dalla Brigata ebraica.
Il 29 settembre 1944, Churchill annunciò al Parlamento inglese che era nata l’unità combattente ebraica e che essa era “presente come formazione a se stante fra tutte le forze che si sono riunite per sconfiggere la Germania”. A comandarla fu scelto il generale Ernest Frank Benjamin, nato in Canada, ma naturalizzato britannico, dal 1943 trasferito nello Stato maggiore britannico in Medio Oriente. Nel villaggio egiziano di Burgh El Arab, Benjamin diresse l’ addestramento dei tre battaglioni di fanteria, che durò cinque settimane, secondo le norme standard dell’ esercito inglese: innanzitutto marciare ed imparare l’ uso del fucile Lee Enfield, un’ottima arma di precisione. I tre battaglioni, concluso l’ addestramento, furono imbarcati ad Alessandria e, dopo cinque giorni di viaggio, il 5 novembre giunsero nel porto di Taranto; il 10 dello stesso mese raggiunsero Fiuggi, una cittadina termale non distante da Roma, e Benjamin stabilì il suo quartier generale proprio nello stabilimento “Acqua di Fiuggi”. In Italia era già inverno, e i soldati della Brigata furono sottoposti a un altro tipo di addestramento che li preparò a combattere in una zona completamente diversa dal deserto a cui erano abituati.
Nel febbraio del 1945, arrivò l’ ordine tanto atteso di partire per il fronte. Era giunto il momento di mostrare al mondo intero che la Brigata ebraica sapeva combattere ed era pronta a farlo.
Al fronte
La Brigata fu trasferita ad Alfonsine, nei pressi di Ravenna, sul fronte orientale della Linea Gotica, ed entrò a far parte dell’ 8a Divisione Indiana che aveva già combattuto in Italia. Di fronte avevano unità dell’esercito tedesco (la 362a Divisione di fanteria e la 42a Divisione Jager), tutti veterani del fronte russo.
I tre battaglioni della Brigata ebraica, una volta schierati, si alternarono sulla linea del fronte e vennero impiegati per compiti di esplorazione insieme alla Brigata corazzata Royal Irish Horse oppure mediante pattugliamenti da soli. Fu proprio una di queste pattuglie, guidata dal sergente Elihau Lankin, che la notte tra il 3 e il 4 marzo ebbe il primo scontro a fuoco con i tedeschi. Ma il combattimento in cui si dimostrarono pienamente tutte le capacità dei soldati ebrei avvene solo alcuni giorni dopo, il 17 marzo, quando attaccarono la Giorgetta, un punto rialzato e fortificato con un bunker che avrebbe potuto seriamente ostacolare le forze britanniche al momento di scatenare l’ offensiva lungo il Senio. Fu una pattuglia comandata dal capitano Peltz a conquistare la Giorgetta con un audace assalto alla baionetta, ma quel giorno la Brigata ebbe diciannove morti, le cui salme vennero poi tumulate nel cimitero militare britannico di Piangipane, presso Ravenna.
Il 25 marzo la Brigata ebraica viene inviata a rilevare la 43a Brigata Gurkhas, con il compito di tenere il fronte nella zona di Villa San Giorgio in Vezzano; contro di loro questa volta è schierata una unità d’ élite dell’ esercito tedesco, l’ 11° e 12° regg. Sturm, i quali presto capiranno che i nuovi nemici non sono meno valorosi dei famosi Gurkhas nepalesi. I mortai e le mitragliatrici Spandau infliggono nei giorni seguenti diverse perdite alla Brigata e altri soldati cadono negli scontri diretti con le pattuglie tedesche (tutti i caduti ebrei furono tumulati a Piangipane). Lo scontro finale con i parà di Hitler avviene su decisione del generale Benjamin, ai primi di aprile, quando vengono conquistate le posizioni di Fugnana e Plicotto.
A quel tempo, le dimensioni della Shoah erano note a tutti. Ciò nonostante, i soldati ebrei non si macchiarono di crimini o atti di ingiustificata violenza nei confronti dei loro prigionieri tedeschi, ai quali imposero soltanto l’ umiliazione di dover dipingere la stella di David sugli autocarri della Brigata.
Fu il cappellano militare, Reverendo Caspar, che spiegò ai soldati come prepararsi a celebrare il Seder, la cena pasquale al fronte; molti di loro, infatti, provenivano dai Kibbutz e non tutti conoscevano le norme della tradizione. Ma anche nella settimana della Pasqua ebraica continuarono a cadere dei soldati: cinque morirono tra il 6 e il 7 aprile.
L’ offensiva degli alleati iniziò il 10 aprile, con lo scopo di ricacciare i tedeschi oltre il Po e di annientarli. Prima, però, bisognava superare il Senio e aprirsi la strada; per questo l’ operazione fu chiamata “Passover”. La Brigata ebraica fu incaricata di supportare sulla destra l’ attacco del Gruppo di combattimento Friuli : dovevano guadare il fiume, liberare Riolo ed avanzare verso Imola. Attraversato il Senio, la Brigata incontrò il fuoco di sbarramento di mortai e Spandau, e restò bloccata tra le rovine del mulino Fantaguzzi. I parà tedeschi cercarono in vano di riconquistare il mulino; una volta cessato il fuoco del nemico, i soldati del 2° Batt. crearono una testa di ponte attraverso il Senio, presto seguiti dal 3° Batt. La sera del 12 aprile sul monte Ghebbio fu issata la bandiera con la stella di David: la Brigata aveva messo in fuga i tedeschi. Il giorno seguente ripartirono verso Imola, dove il 1° Batt. venne attaccato dai mortai tedeschi posizionati di fronte alla città. Alla Brigata fu poi ordinato di fermarsi alla periferia di Bologna, mentre le armate alleate proseguivano verso nord. Tutte le unità ebraiche, infine, ritornarono a Brisighella, dove si trovava il quartiere generale, e non combatterono più. Sicuramente quei soldati non accettarono di buon grado l’ ordine che gli impediva di partecipare alla battaglia finale; secondo il comando inglese, il loro contributo alla vittoria era già sufficiente: in quei giorni erano caduti altri quaranta soldati ebrei, centocinquanta furono i feriti, ventuno vennero decorati.
Il generale americano Mark ClarK, comandante del 15° Gruppo di armate, al termine della campagna d’ Italia, scrisse al generale Benjamin: ” Mi rivolgo a lei con questa lettera come il Comandante in capo delle forze palestinesi, che richiedo di ringraziare a mio nome, a tutti i livelli, per la splendida collaborazione data nell’ offensiva che ha costretto i tedeschi alla resa incondizionata… E’ stato per me un privilegio di avervi avuto nel 15° Gruppo di armate. Buona fortuna a voi tutti”.
La Brigata ebraica venne poi trasferita a Tarvisio, tra l’Alto-Adige e la Carnia, dove incontrò i primi sopravvissuti ai campi di sterminio e iniziò subito a intraprendere nei loro confronti una fondamentale opera di soccorso.
Die Juden kommen
La partenza avviene in maggio, dopo la resa del Reich. Sulle fiancate degli autocarri, dove esono state già dipinte le stelle di David in giallo vivo, ora compaiono nuove scritte in tedesco: Die Juden kommen! Kein Reich, kein Fhurer! (Arrivano gli ebrei! Niente Reich, niente Fhurer!). Inoltre, sulle cabine sventolano le bandiere a strisce bianche e azzurre.
Il sergente Israel Carmi ha raccontato al giornalista americano Howard Blum che ottenne un lasciapassare per muoversi liberamente in Germania e che, insieme ad un compagno d’armi, riuscì ad entrare nel campo di Mathausen. Lì i sopravvissuti si affollarono intorno alla loro jeep che mostrava la stella di David. Carmi disse loro che erano ebrei e un ex prigioniero gli chiese se fossero “angeli ebrei”.
Fu proprio Carmi che poi individuò una coppia che abitava vicino al confine con l’ Austria: il marito era un ex funzionario della Gestapo, di grado elevato, supervisore delle deportazioni. In cambio della proria salvezza, il nazista gli scrisse una lista di suoi camerati attualmente nascosti. Carmi consegnò ai superiori del reparto informazioni solo i nomi dei nazisti di basso livello, ma tenne per sé la lista di coloro che si erano macchiati dei crimini peggiori, tutti alti funzionari e uomini delle SS. Quell’estate organizzò una squadra formata da soldati della Brigata ebraica, suddivisa in piccoli gruppi che, quasi ogni notte, lasciavano il campo di Tarvisio e si trasformavano in plotoni d’ esecuzione: dopo quello della guerra, era arrivato il momento della vendetta.
Fu durante un incontro a Parigi, a luglio, in un appartamento agli Champs Elysées che Carmi incontrò Yehuda Arazi, divenuto il capo della Haganah (un’organizzazione paramilitare sionista) in Italia. Carmi gli disse che si dovevano far partire per la Palestina i sopravvissuti e che la Haganah avrebbe dovuto trovare le navi. La condizione degli ex prigionieri nei campi liberati, infatti, non era certo felice, nonostante gli aiuti distribuiti dagli alleati (solo a Bergen Belsen morirono tredicimila ebrei nel primo mese dopo l’ apertura del lager). Intanto il governo britannico chiudeva le frontiere delle zone sotto il suo controllo, tenendo i profughi fuori dalla Francia e dall’Italia, e impedendogli così di raggiungere i porti meridionali. In Polonia agli ebrei, compresi i centoventimila arrivati dall’Unione Sovietica, fu addirittura ordinato di restare nel Paese. Solo il presidente americano Truman concesse visti d’ ingresso, ma appena dodicimila profughi furono ammessi negli Stati Uniti nei tre anni successivi alla fine della guerra.
Fu allora che ebbe inizio la fuga (Bricha), e gli uomini della Brigata, che già aiutavano e sfamavano i sopravvissuti incontrati in Italia, decisero di mettere a disposizione tutti i loro mezzi e la loro collaudata organizzazione militare. Avrebbero portato, dunque, migliaia di uomini, donne e bambini attraverso l’Europa fino ai porti sul Mediterraneo, da dove sarebbero partiti verso la nuova patria.
In Italia i profughi venivano radunati a Bologna, poi a Firenze, quindi venivano imbarcati clandestinamente sulle navi che li portavano in Palestina. Ma nell’attesa della partenza, i soldati della Brigata impartivano ai bambini lezioni di ebraico, storia e geografia della Palestina, e spiegavano come si viveva nei Kibbutz.
Fra l’ agosto 1945 e il maggio 1948 arrivarono in Palestina sessantacinque navi con 69.878 profughi a bordo. Molti di loro lo dovevano alla Brigata ebraica.
Quando il comando britannico cominciò a rendersi conto di quello che i soldati ebrei stavano facendo per portare in salvo i sopravvissuti, decise di mettere fine alle partenze allontanando la Brigata dall’Italia. Così, il 29 luglio 1945, la Brigata ricevette l’ ordine di muoversi verso i Paesi Bassi. Alla fine di agosto erano tutti sistemati nei nuovi campi: il comandante Benjamin aveva il quartier generale vicino a Bruxelles, mentre le unità erano sparse per il Belgio e l’ Olanda. Lì i soldati continuarono a prodigarsi per soccorrere i profughi e portare conforto alle comunità ebraiche di Amsterdam e Bruxelles, fortemente decimate durante l’ occupazione nazista.
Poiché il trasferimento clandestino dei profughi verso la Palestina continuava, nonostante l’ allontanamento della Brigata dall’ Italia, il governo di Sua Maestà decise allora che per i soldati ebrei la permanenza in Europa doveva terminare, e nella prima settimana del giugno 1946 ordinò loro di rientrare in patria.
Per la Brigata, dunque, la guerra contro gli sterminatori ariani era finita, ma presto sarebbe iniziata un’altra guerra, per l’ indipendenza di Israele. E ancora una volta quei valorosi si sarebbero dimostrati determinati a combattere e a vincere.
Bibliografia essenziale:
BLUM H., La brigata, Milano 2012
JACKSON W., La battaglia d’Italia, Milano 2017
ROCCA S.- CRISTINI L., La Brigata Ebraica, Brescia 2012