“Amo l’odore del napalm la mattina” è la celebre battuta che Robert Duvall pronuncia in Apocalypse Now. E si sente odore di napalm nelle stanze del potere a Washington con le nuove nomine decise da Donald Trump. Si tratta di un vero e proprio turnover degli assetti obamiani, con uomini tosti e senza peli sulla lingua. Mike Pompeo, nuovo direttore della CIA e acerrimo avversario dell’Iran Deal, ne vuole fare presto carta straccia, Michael Flynn, ex generale in pensione rientra alla grande nel ruolo di Consigliere per la Sicurezza Nazionale, dopo essere stato defenestrato da Obama per avere detto che gli Stati Uniti stavano rendendosi deboli nei confronti del terrorismo islamico, Jeff Sessions repubblicano hardcore sarà il nuovo Attorney General, Procuratore Generale e dunque a capo del Dipartimento della Giustizia, David Petraeus generale pluridecorato e dimessosi nel 2012 per una presunta relazione extraconiugale, potrebbe essere il prossimo Segretario alla Difesa, così come il mormone Mitt Romney, sconfitto da Obama nel 2012 forse sarà il nuovo Segretario di Stato al posto di John Kerry (anche se ci sono mugugni sul suo nome perché ritenuto poco incisivo). Jared Kushner, il genero ebreo ortodosso di Trump, da lui molto ascoltato potrebbe anche lui entrare alla Casa Bianca con un ruolo ancora da definire. Sarà lui il Disraeli del nuovo presidente?
Come si muoverà la prossima Amministrazione è ancora materia di speculazione, stoffa di cui sono fatti i sogni di molti ma che ancora devono trasformarsi in realtà, tuttavia, alcune cose si possono già dire con una certa sicurezza relativamente ad alcune direttive che guideranno la politica estera. Non sarà filoislamica, non getterà corone di fiori al collo di ogni musulmano solo perché è tale così come non separerà dal sostantivo “terrorismo” l’aggettivo “islamico” come ha fatto per otto anni l’Amministrazione Obama. Non sarà conseguentemente propal, imputando a Israele il maggiore deficit di responsabilità per non riuscire a giungere a un accordo con l’Autorità Palestinese e difficilmente stabilirà una ambigua equidistanza tra terrorismo palestinese e risposta difensiva israeliana. Sulla carta questa Amministrazione appare come la più filosionista degli ultimi decenni per la gioia di tutti i complottisti e degli islamofili nostrani alla Franco Cardini (il quale, insieme ad altri, dovrà mettersi a pazientare, sono tornati i cattivoni). Non sarà accondiscendente con l’Iran che si avvia al nucleare, e seppure appaia improbabile che stracci il deal, come vorrebbe Mike Pompeo, è assai probabile che sarà molto attenta a che gli iraniani ottemperino a parametri rigorosi come la cessazione dell’arricchimento dell’uranio, l’accettazione delle visite degli ispettori dell’IAEA in qualsiasi momento e ovunque, insieme a una limitazione del loro programma missilistico, alla cessazione di minacce nei confronti di navi e imbarcazioni americane nel Golfo Persico e soprattutto nei confronti di Israele. Per quanto l’Iran sia un alleato di Putin, e Putin sembri godere di una certa simpatia da parte di Trump, difficilmente sarà il leader russo a dettare l’agenda degli interessi geopolitici statunitensi.
In questo senso c’è da sperare in un ritorno robusto e vigilante degli Stati Uniti in Medioriente nonostante alcuni annunci isolazionisti fatti da Trump in campagna elettorale. Incoronare definitivamente Putin come lord protettore della regione sarebbe un grave errore. Un conto è una distensione con la Russia neo nazionalista putiniana una conto è lasciarla agire indisturbata.
Insomma, il volto terreo di Obama quando dovette incontrarsi alla Casa Bianca con il suo successore ha una sua giustificazione. L’orchestra che sta prendendo il proprio posto sul proscenio è in attesa di suonare una musica assai diversa da quella che finora abbiamo dovuto sopportare.