La dichiarazione spontanea rilasciata lo scorso 26 febbraio durante l’udienza preliminare da Yaeesh Anan, membro delle Brigate al-Aqsa e alla sbarra assieme ad altri due palestinesi con l’accusa di terrorismo, mostra una serie di elementi su cui è utile soffermarsi per comprendere meglio le dinamiche riguardanti questo strano caso.
Il testo integrale veniva pubblicato dal sito del partito dei CARC ed è consultabile qui.
Una dichiarazione che lascia emergere interrogativi su chi l’abbia realmente scritta, sia per quanto riguarda lo stile molto simile al materiale propagandistico della galassia di estrema sinistra e sia per i costanti parallelismi tra l’attività di Fatah e “i partigiani” che combattevano contro i nazisti.
Al di là del prevedibile tentativo di delegittimare lo Stato di Israele tramite il comunicato propagandistico, risultano di interesse anche le esternazioni fatte dall’imputato secondo cui “il popolo italiano sosterrebbe la causa palestinese”. E’ bene però procedere con ordine e fare un passo indietro per riassumere brevemente il caso.
Il 29 gennaio 2024, la polizia italiana arrestava Anan Kamal Afif Yaeesh (Yaeesh Anan, 1987); l’arresto veniva condotto nella città dell’Aquila, dove il soggetto in questione risiedeva, su richiesta delle autorità israeliane che avevano anche chiesto l’estradizione di Anan, accusato di essere un leader della “Rapid Response-Tulkarem Unit” delle Brigate Al-Aqsa e di aver pianificato attacchi terroristici contro Israele dal suolo italiano. Tra gli obiettivi, figuravano membri del governo israeliano, dell’esercito, del gabinetto di guerra e un assalto contro l’insediamento di Avnei Hefetz.
A marzo 2024, altri due palestinesi residenti anch’essi all’Aquila, identificati come Ali Saji Ribhi Irar (1994) e Mansour Doghmosh (1995), venivano arrestati e accusati di far parte della medesima cellula.
Nel frattempo, i giudici della Corte d’appello dell’Aquila respingevano la richiesta di estradizione, giustificandola col fatto che “Anan potrebbe essere sottoposto a trattamenti crudeli, inumani o degradanti, o comunque ad atti che costituiscono una violazione dei diritti umani”, indicando inoltre che “le carceri israeliane sono caratterizzate da sovraffollamento, violenza fisica, scarse condizioni igieniche e mancanza di assistenza sanitaria ulteriormente aggravate dal conflitto in corso”.
Come riportato nelle carte processuali, i tre arrestati erano in contatto via Whatsapp con Mounir al-Maqdah, leader delle Brigate al-Aqsa e già al comando delle milizie presso il campo palestinese di al-Hilweh, in territorio libanese. Durante le perquisizioni nell’abitazione che Anan condivideva con Irar sono stati rinvenuti numerosi telefonini di varie marche, ma l’aspetto fore più interessante è quello legato agli accertamenti patrimoniali che hanno individuato ben otto conti correnti intestati al primo e nove al secondo. In uno di questi conti erano depositati più di 95 mila euro, nonostante il loro stato di disoccupazione.
In seguito alle indagini sono inoltre emersi collegamenti tra Anan e membri del Gruppo Risposta-Rapida uccisi in uno scontro a fuoco con l’esercito israeliano nel novembre 2023, identificati come Izz al-Din Raed Hussein Awad, Moamen Saed Mahmoud Balawi, Jihad Maharaj Ibrahim Shehadeh e Qasim Muhammad Rajab (gli ultimi due, peraltro, risultano indicati nel capo di imputazione come concorrenti nell’associazione ex art. 270 bis c.p. in esame).
Su una cosa Anan ha ragione, ovvero quando nella sua dichiarazione spontanea afferma che il suo fascicolo come “resistente palestinese” era conosciuto dalle autorità di sicurezza italiane.
Infatti, come emerso anche in questo caso dalle carte processuali, in base a un interrogatorio della DIGOS dell’Aquila in data 31/10/2017 volta ad acquisire sommarie informazioni sull’ingresso di Anan in Italia e ad ulteriori approfondimenti emergevano i seguenti elementi: Nel 2002 Anan entrava a far parte dei servizi segreti di al-Fatah ma nel 2005 veniva licenziato su pressioni israeliane in quanto indicato come precedentemente coinvolto in attacchi contro Israele. Nel settembre del 2005 Anan veniva arrestato dalla polizia palestinese affiancata da militari statunitensi e rinchiuso nel carcere di Gerico dove evadeva sei mesi dopo. In seguito all’evasione, il soggetto in questione restava nascosto a Tulkarem fino al dicembre 2006 quando veniva ferito in uno scontro a fuoco con l’esercito israeliano e arrestato. Anan restava in carcere in Israele fino all’aprile 2010 quando veniva scarcerato.
Da qui in poi inizia l’avventura europea di Anan. Nel settembre del 2013 ottiene un visto Shengen dal consolato norvegese di Ramallah e vola in Norvegia dove rimane per qualche anno prima che le autorità locali gli revocano il visto in seguito a una richiesta di estradizione da parte delle autorità israeliane. Ciò in quanto dei palestinesi arrestati lo avevano indicato come addestratore di miliziani e legato al traffico di armi. Gli viene rifiutato il permesso di soggiorno per protezione internazionale; Anan fa allora ricorso tramite avvocato ma perde e riceve foglio di via.
A quel punto si reca in Svezia per tre mesi nel tentativo di ottenerlo là, ma non ci riesce; torna quindi in Norvegia e da lì, nell’ottobre del 2017, prende un treno e arriva a Roma. Da tenere presente (come dichiarato dallo stesso Anan) che egli era allora privo di documenti ed aveva soltanto la foto che ritrae il passaporto e copia di documenti della Croce Rossa Internazionale in quanto tutti i documenti erano stati trattenuti dalle autorità norvegesi. A Roma conosce alcuni arabi in un ristorante gestito da un siriano nei pressi del Vaticano che gli suggeriscono di andare a L’Aquila dove sarebbe stato più facile ottenere un permesso di soggiorno per protezione internazionale. Nel settembre del 2018 Anan ha un’audizione per la richiesta di protezione internazionale.
La vicenda è confusa. Anan avrebbe ottenuto il permesso di soggiorno per protezione speciale nel 2019, mentre le carte dell’indagine rivelano che nel settembre del 2022 il Tribunale di Bari aveva rigettato la richiesta di protezione internazionale avanzata dal soggetto in questione proprio per motivi di sicurezza nazionale e ordine pubblico:“… dall’esame delle dichiarazioni rese dinanzi alla Commissione non si evince alcuna rinnegazione di quel passato né ravvedimento a fronte dei crimini commessi e delle ideologie ad essi sottostanti, non venendo mai revocate in dubbio l’appartenenza e l’adesione e la consequenziale militanza nell’organizzazione terroristica”.
Nella dichiarazione spontanea all’udienza preliminare, Anan dichiara di aver ottenuto il permesso di soggiorno in Italia e la protezione speciale dopo che la sua richiesta di asilo era stata respinta dal Tribunale di Foggia.
Approfondimenti hanno individuato un’attività commerciale a suo nome, ovvero un negozio di pizza/kebab, a Mestre in via Querini, con cessata attività nel settembre del 2022, stesso mese in cui gli veniva rifiutata la protezione internazionale. Secondo altre informazioni, Yaeesh avrebbe lavorato come traduttore all’Università La Sapienza di Roma.
Anan, nonostante il suo precario status e il background problematico, è comunque riuscito ad ottenere dei documenti per viaggiare in vari paesi tra cui la Malesia, gli Emirati, Malta, la Germania e la Giordania, dove si reca nel maggio 2023 per rimanervi fino a novembre. Tra l’altro nelle carte si legge che il permesso di soggiorno di Anan sarebbe scaduto l’11 novembre e non risulta presentata domanda di rinvio.
Il 7 gennaio 2024 Anan prendeva un appartamento in affitto a L’Aquila assieme a uno degli altri indagati, Irar Ali Saji Ribhi, entrambi risultanti disoccupati. Poco dopo i tre, in seguito alla richiesta di estradizione proveniente da Israele, venivano arrestati.
Tornando alla dichiarazione spontanea di Anan, questi sono alcuni dei punti salienti che ne emergono:
- La narrativa e la retorica perfettamente in linea con quella tipica della galassia di estrema sinistra.
- Il tentativo di delegittimare in fase preprocessuale lo Stato di Israele tramite un comunicato propagandistico.
- L’idea secondo cui “il popolo italiano è amico e sostiene la causa palestinese” viene messa in contrapposizione alle posizioni del governo italiano amico e alleato di USA e Israele secondo “la legge del più forte”. E’ bene tener bene a mente che la medesima linea è portata avanti dalle formazioni di estrema sinistra come CARC, Nuovo Partito Comunista e altre affini.
- La dichiarazione: “Signor Giudice, il popolo italiano non è e non sarà mai nostro nemico; merita tutto il meglio e il nostro rispetto, è un popolo amico che ha sempre sostenuto la causa palestinese. I nostri nemici sono gli israeliani che occupano la nostra terra, e nessun altro”, sembra quasi lasciar intendere che i palestinesi dovrebbero poter operare da suolo italiano contro Israele in quanto non hanno intenzione di colpire l’Italia; un punto su cui riflettere con molta attenzione. Torna in mente il Lodo Moro.
- Il continuo riferimento al termine “partigiani” per giustificare e accomunare impropriamente l’attività terroristica palestinese a quella dei partigiani durante la Seconda Guerra Mondiale.
- Anan si aggancia alla presenza di uffici dell’Autorità Nazionale Palestinese in Italia per giustificare la propria attività in territorio italiano (“Come potete accusarmi di terrorismo, mentre riconoscete la legittimità del movimento Fatah, del quale esistono uffici e rappresentanze in tutto il mondo, tra cui l’Italia, non è un atteggiamento falso e ipocrita?”). Secondo la ricostruzione, Anan era però stato espulso dall’organizzazione nel 2005. Dunque?.
- Anan mette in evidenza come le autorità italiane fossero perfettamente a conoscenza della sua presenza e attività in territorio italiano. Bisogna rilevare che l’arresto ha avuto luogo soltanto in seguito alla richiesta di estradizione israeliana, il che lascia emergere una domanda: se Israele non si fosse mossa, Anan avrebbe proseguito indisturbato con la sua attività in territorio italiano?
Il 2 aprile a L’Aquila avrà inizio il processo nei confronti di Anan, Irar e Doghmosh. Una cosa è certa, ne sentiremo parlare ancora.
