Il culto della morte e del martirio, abbinato a un antisemitismo radicale, è al centro dell’ideologia di Hamas, costola palestinese della Fratellanza Musulmana.
“Le conclusioni di Hamas sul destino di Israele sono esplicitate inequivocabilmente nello Statuto. Secondo l’art. 6, Hamas, ‘innalzerà la bandiera di Allah su ogni metro quadrato della Palestina. […] Non c’è soluzione per il problema palestinese se non il jihad'”, scrive Matthias Küntzel.
Lo Statuto di Hamas del 1988, mai abrogato, è il manifesto programmatico dell’organizzazione jihadista, un miscuglio esiziale di fanatismo religioso, antisemitismo e volontà eliminazionista. Così come Adolf Hitler aveva espresso in modo eloquente le sue intenzioni nel Mein Kampf, poi messe in atto in modo puntuale, lo stesso ha fatto Hamas.
Il 7 ottobre del 2023 è stato la logica conseguenza dello Statuto. Eppure, per sedici anni, dal 2007, (anno della presa assoluta del potere da parte di Hamas a Gaza), al 2023, Israele ha preferito ignorare la realtà dello Statuto considerando Hamas un attore politico che si poteva tenere a bada attraverso elargizioni economiche fornite dal Qatar, suo principale sponsor finanziario e ideologico. Tutto ciò ha portato a quattro conflitti, di cui, il più esteso è quello attuale interrotto attualmente da una tregua.
Già nel 2005, quando Ariel Sharon prese la decisione di mettere fine agli insediamenti ebraici nella Striscia, dichiarando che essa aveva il potenziale di diventare la Singapore del Medio Oriente, sottovalutava come il politico, quando è innestato sul religioso, subordina tutto alle proprie convinzioni.
Non c’è benessere economico, arricchimento personale, possibilità di migliorare le condizioni della vita collettiva che possa avere la meglio sulla convinzione ferocemente e religiosamente radicata che Israele deve essere cancellato dalla mappa del Medio Oriente. Il mero fatto che Hamas non possegga la capacità materiale di poterlo fare non modifica di nulla la sua pericolosità e il suo programma, come il 7 ottobre, vera e propria anticamera di un genocidio, ha ampiamente dimostrato.
Lasciare sopavvivere Hamas a Gaza sarebbe come avere voluto fare sopravvivere Al Qaeda in Afghanistan o l’Isis in Iraq invece di avere deciso di porre fine alla loro radicamento.
Non ci sono vie di mezzo, non possono esserci tregue che tengano, e duole dirlo, la vita degli ostaggi dovrebbe essere subordinata a questo obiettivo, la distruzione di Hamas e la bonifica di Gaza.
Durante la Seconda guerra mondiale, gli Alleati non decisero di lasciare intatto in Germania un residuo attivo ma operante del Terzo Reich, così come a Mosul non si è optato per preservare l’Isis dalla sconfitta totale dopo nove mesi di assedio e la morte reale di quarantamila civili.
L’evidenza di questa guerra che è durata quindici mesi e che ora si è momentaneamente arrestata, è che più che avere come obiettivo la capitolazionne di Hamas si sia optato per una massiccia operazione di deterrenza, esattamente come è accaduto nei conflitti precedenti, con il risultato che ciclicamente si è ripresentato lo stesso problema e si è infine giunti al magiore eccidio di ebrei dal dopoguera ai nostri giorni.
Netanyahu ha sempre dichiarato di volere la vittoria, ma è il primo a sapere che questo esito è inconciliabile con la liberazione di tutti gli ostaggi, l’assicurazione sulla vita di Hamas. La capitolazione di Hamas prevede un prezzo alto da pagare, la salvezza di tutti gli ostaggi un prezzo altrettanto alto, ma più esorbitante.
La realtà bruta è questo, il resto è solo ipocrisia e wishful thinking.