Elementi di propaganda

L’immaginaria carestia a Gaza

Una delle novità del jihad giuridico e mediatico condotta contro Israele a partire del 7 ottobre 2023, è l’accusa secondo cui Israele starebbe provocando, «intenzionalmente», una carestia nella Striscia di Gaza bloccando gli aiuti umanitari, al fine di perseguire un piano «genocidario» a danno della popolazione arabo-palestinese. 

Questa calunnia si basa su un rapporto dell’Integrated Food Security Phase Classification (IPC) pubblicato nel marzo del 2024, dove si paventava una carestia imminente poiché 1,1 milioni di gazawi, ossia la metà della popolazione, secondo le stime, stava sperimentando «alti livelli di insicurezza alimentare acuta». 

Il COGAT, l’unità dell’IDF responsabile del coordinamento degli aiuti umanitari a Gaza, ha subito criticato quel rapporto per «molteplici difetti fattuali e metodologici, alcuni dei quali gravi». Per esempio: l’IPC ha sottostimato la quantità di acqua disponibile per persona al giorno a Gaza come 1 litro invece di 20 litri; inoltre, non aveva dati aggiornati sulla popolazione e si è basato su quelli distorti forniti dal Ministero della Salute di Gaza, creato e gestito da Hamas, e ha ignorato le prove pubbliche sulla disponibilità di cibo in tutta Gaza, anche nel Nord.

Nel giugno del 2024, viene pubblicato un nuovo rapporto, dove si afferma che si è costituito uno scenario «in contrasto» con le previsioni catastrofiche fatte in riferimento al periodo «marzo-luglio 2024», al punto da scrivere che «le prove disponibili non indicano che sia in corso una carestia», sebbene per l’IPC tale rischio rimanga alto. 

Diversi mesi dopo, nell’ottobre del 2024, il medesimo ente ha rilasciato l’ennesimo report, dove nuovamente non si è parlato di «carestia in atto» a Gaza, bensì di «un’imminente e sostanziale probabilità di carestia», e si è aggiunto che tale documento «serve a richiamare immediatamente l’attenzione sulla necessità di agire urgentemente per alleviare questa catastrofe umanitaria nelle aree del nord della Striscia di Gaza».

Visti i precedenti è legittimo ritenere che l’IPC abbia nuovamente sottostimato la quantità di acqua e cibo disponibile agli arabi-palestinesi.  

Fin dall’inizio, dunque, l’IPC ha affermato che a Gaza non è in corso una carestia, ma solo che vi è pericolo che questa possa realizzarsi se, si legge ancora nel testo di ottobre, «tutti gli attori coinvolti direttamente nel conflitto o che possano influenzarne lo svolgimento» non prenderanno delle misure volte a prevenire tale possibilità.  

Sebbene nell’ultimo suo documento si parli di «tutti gli attori coinvolti», le raccomandazioni finali dell’IPC riguardano solo Israele, anche se questo non è nominato direttamente: si chiede, infatti, di «terminare l’assedio nel nord della Striscia di Gaza» e di «interrompere gli attacchi a strutture sanitarie e infrastrutture civili essenziali». Anche se, come ha chiarito il Wall Street Journal, «Israele non ha bisogno di essere sollecitato a fornire aiuti umanitari o ad agire con cautela». 

Nulla si dice in riferimento al fatto che Hamas ha vietato ai cittadini palestinesi, pena la morte, di collaborare con gli israeliani nella distribuzione dei beni; come non viene detto alcunché circa i furti degli aiuti umanitari destinati ai cittadini di Gaza compiuti da Hamas, di cui esistono numerose prove: abitanti della Striscia allontanati con la forza dai camion carichi di cibo e testimonianze di gazawi circa i latrocini messi in atto dai terroristi di Hamas. 

Anzi, come concludeva il rapporto del COGAT sopraccitato, l’IPC non menziona mai i notevoli sforzi compiuti da Israele «per migliorare la situazione umanitaria», oltreché lavorare «in modo proattivo con i partner per fornire aiuti adeguati alla popolazione e invita la comunità internazionale e le organizzazioni umanitarie a continuare a lavorare insieme per questo scopo». 

La ragione per cui a Gaza non è corso alcuna carestia è dovuta al fatto che, contrariamente a quanto affermano gli odiatori seriali di Israele, lo Stato ebraico ha facilitato l’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia ben oltre i suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale.  

In tal senso, la Quarta Convenzione di Ginevra, relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra, all’articolo 23, stabilisce che «Ciascuna Parte contraente accorderà il libero passaggio per qualsiasi invio di medicamenti e di materiale sanitario […] Essa autorizzerà pure il passaggio di qualunque invio di viveri indispensabili, di capi di vestiario e di ricostituenti riservati ai fanciulli d’età inferiore ai quindici anni, alle donne incinte o alle puerpere», tali invii sono «subordinati alla condizione che questa Parte sia sicura di non aver alcun serio motivo di temere che: gli invii possano essere sottratti alla loro destinazione; che il controllo possa non essere efficace; che il nemico possa trarne evidente vantaggio per i suoi sforzi militari o la sua economia, sostituendo con questi invii delle merci che avrebbe altrimenti dovuto fornire o produrre, oppure liberando delle materie, dei prodotti o dei servizi che avrebbe altrimenti dovuto destinare alla produzione di tali merci».

Israele ha spesso derogato all’articolo 23, permettendo l’ingresso di numerosi beni che sono stati, prevedibilmente, sequestrati da Hamas. Il COGAT, perdipiù, ha sovente permesso l’accesso di quantitativi di cibo superiori a quelli richiesti dalle Agenzie dell’ONU e dal World Food Program.  

In conclusione, si può affermare con certezza che a Gaza non è in corso alcuna carestia; che gli scenari elaborati dall’IPC nei mesi passati si sono rivelati eccessivamente pessimistici, pertanto anche le nuove proiezioni non sono da ritenersi affidabili; e che le azioni compiute da Israele per garantire sufficienti aiuti umanitari ai «palestinesi» confutano qualunque dichiarazione secondo cui si starebbe usando la fame come strumento di genocidio. 

Tra i filopalestinesi non ci sarà mai carestia di argomenti diffamatori contro Israele. 

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