Come riferito dall’Algemeiner Journal, alcuni giorni fa, presso l’Università della California, a Berkeley, «una folla di centinaia di studenti e attivisti filo-palestinesi» ha preso d’assalto l’edificio presso cui si stava tenendo un evento con il soldato dell’IDF Ran Bar-Yoshafat, «costringendo gli studenti ebrei a fuggire in una stanza sicura e segreta», mentre i manifestanti sciamavano per il campus, rompendo i vetri della finestre.
Qualche giorno dopo, al Trinity College, nell’università di Cambridge, a Londra, un’attivista pro-Palestina ha fatto a pezzi un ritratto di Lord Balfour, storico primo ministro britannico e autore dell’omonima «Dichiarazione».
Si tratta di due dei tanti episodi di antisemitismo avvenuti in seguito alla risposta israeliana al pogrom dello scorso 7 ottobre. Il mondo occidentale, invece di sostenere l’adeguata e legittima reazione militare di Gerusalemme, come vorrebbero la ragione e l’etica, preferisce avversare gli ebrei e il loro Stato.
La «solitudine d’Israele», come l’ha chiamata Bernard Henri-Lévy, è figlia dello spaesamento morale, politico e intellettuale dell’Occidente. L’odio antisionista, che altro non è se non il vecchio odio antisemita sotto nuove spoglie, è il prodotto di una miscela tossica di fanatismo ideologico e crassa ignoranza.
Le università dell’Occidente opulento sono diventate il centro propulsore di un terzomondismo rivoluzionario, di cui l’antisionismo costituisce il pilastro fondamentale, perché, come nella Germania degli anni Trenta, non credono più alla propria vocazione superiore e dunque si arrendono a una popolazione studentesca estremamente ideologizzata.
Le accademie hanno abbandonato ogni forma di ricerca razionale e di riflessione critica sui valori, limitandosi a fornire una copertura «scientifica» alle passioni dettate dallo Zeitgeist.
Baldur von Schirach, il capo della Hitlerjugend, ebbe a dire che «i giovani hanno sempre ragione». I giovani «arditi», che oggi vengono chiamati «coraggiosi», da sempre costituiscono le sturmtruppen di qualsiasi idea dal sapore rivoluzionario.
Il culto senescente dell’idealismo giovanile, tipico degli adulti infantili, quali sono numerosi accademici, spesso ancora sedotti da ideologie radicali, come dimostrano le recenti affermazioni di Donatella Di Cesare, diventa particolarmente pericoloso quando i giovani vengono incoraggiati a considerare il loro acerbo e acefalo entusiasmo come universalmente valido.
Spesso il giovane incontra una grande idea stucchevole e, senza l’intervento correttivo degli adulti, prende a seguirla come un anatroccolo che abbia ricevuto l’imprinting dalla madre. Questa nuova nidiata di fanatici, altro nome degli «entusiasti» e dei «rivoluzionari», presso i quali la lezione dei totalitarismi antioccidentali non ha mai attecchito, rappresenta il grado zero della vita intellettuale del nostro presente.
In tal senso, non c’è alcuna differenza tra gli «attivisti» filopalestinesi di oggi e la Hitlerjugend di ieri. La mentalità è la medesima, come l’arroganza. L’abbattimento delle barriere tra accademia e società, ha prodotto chiusura ai fatti, alle differenze, alla cultura stessa, svilendo l’amore per il sapere in esotiche rivendicazioni «politiche».
Il fatto che gli studenti universitari di tutto il mondo, dichiarando di parlare a nome dei sedicenti «oppressi», onorino e solidarizzino coi terroristi islamici, incoraggiandoli a uccidere più ebrei come tattica necessaria e giustificabile per ottenere una non meglio specificata «liberazione», indica quanto si sia degradata la situazione nei campus.
Ci troviamo, nuovamente inermi, di fronte alla recrudescenza di fenomeni già visti nella storia d’Europa. Una situazione che non lascia presagire nulla di buono.