Per chiunque abbia senso della realtà e non sia prigioniero di una bolla ideologica o in piena malafede, non può non apparire chiaro che chi si avventura ancora a reputare che il venire in essere di uno Stato palestinese sulle colline della Cisgiordania, possa porre fine al conflitto israelo-palestinese (non coinvolgendo più direttamente ormai da mezzo secolo gli stati arabi), sia fuori dalla storia.
Gli arabi, (i “palestinesi” vennero molti decenni dopo), rifiutarono fin dal 1937 un loro ennesimo minuscolo stato regionale, e di nuovo lo rifiutarono nel 1947, e poi senza sosta in seguito. Il motivo è molto semplice e sotto gli occhi di tutti, come la famosa lettera rubata nel omonimo racconto di Edgar Allan Poe, gli arabi non ammettevano che su un territorio considerato islamico e circondato da stati islamici, potesse sorgere uno Stato ebraico.
Per la cultura e la mentalità islamica, gli ebrei erano stati per secoli dhimmi, ovvero cittadini di secondo rango, sottoposti a una speciale tassazione che ne garantiva la protezione, ma di fatto alla mercé dei musulmani.
Non solo, il Corano, pur riconoscendo ad essi lo status di “popolo del libro” insieme ai cristiani, ne specifica in modo perentorio tratti intrinsecamente negativi e inemendabili.
L’idea che un popolo considerato ontologicamente inferiore e che per secoli si era trovato sotto il dominio musulmano, potesse avere una propria autonomia statuale per giunta su un territorio considerato proprio, è sempre stata considerata intollerabile.
Queste ragioni, profonde, radicate e trasmesse generazionalmente, sono quelle strutturali che hanno impedito che da parte islamica, si potesse giungere ad accettare la legittimità, storica, culturale e politica di Israele. La lotta di “liberazione” contro l'”occupante”, è solo una mascheratura, una superfetazione ideologica costruita a partire dalla metà degli anni Sessanta, su questo assunto.
In realtà un mini Stato palestinese ha già dato prova di sé dal 2007 ad oggi, quando a Gaza, dopo un sanguinoso regolamento dei conti con Fatah, il partito concorrente, Hamas ha preso il potere. Il “non rappresentante” del popolo palestinese, che vinse le elezioni del 2006 con un ampio margine di scarto, ha governato la Striscia per sedici anni consecutivi.
Quando Ariel Sharon decise nel 2005 la smobilitazione degli insediamenti ebraici a Gaza e il collaterale ritiro dei soldati, dichiarò che ora che Gaza era autonoma e non più “occupata” aveva l’occasione di mostrare di che cosa fossero capaci i suoi abitanti e la sua classe dirigente, poteva quindi trasformarsi in una Singapore del Medioriente.
Cosa sia diventata Gaza nell’arco di questi anni è sotto gli occhi di tutti, una centrale terroristica che ha donato a Israele lanci continui di razzi e cinque conflitti, di cui quelli a maggiore intensità precedenti a quello in corso sono stati Piombo Fuso nel 2009, e Margine di Protezione nel 2014. L’apice si è avuto il 7 ottobre scorso.
Solo in una prospettiva onirica si può immaginare che un altro Stato palestinese retto da Fatah, un po’ più grande del mini Stato governato da Hamas e che includesse Gaza e la Cisgiordania, sarebbe un centro di moderazione, benessere e di convivenza pacifica tra palestinesi e israeliani.
L’Autorità Palestinese non ha mai fatto mistero del suo appoggio alle iniziative terroristiche di Hamas, ne ha mai mitigato il proprio estremismo contro lo Stato ebraico. L’odio antiebraico è un must della scolarizzazione primaria nelle scuole sotto la giurisdizione di Fatah. Lo stesso Abu Mazen in più di un’occasione ha rinfrescato la memoria degli ascoltatori con le sue tirate antisemite mentre il suo consigliere per le questioni religiose e giudice supremo per la sharia, Mahmoud al Habbash, nel 2015 affermava: “Il conflitto qui in Palestina tra noi e l’occupazione criminale e i suoi leader criminali, è una ulteriore manifestazione delle nostre prove, è una ulteriore manifestazione dello storico conflitto tra bene e male. Il bene è rappresentato dal Profeta e dai suoi sostenitori, il male è rappresentato dai diavoli e dai loro sostenitori, dai satana e i loro sostenitori”. C’è forse da meravigliarsi? D’altronde la parola “Fatah” è un acronimo invertito dell’arabo Harekat at–Tahrir al–Wataniyyeh al–Falastiniyyeh, che significa “conquista per mezzo del jihad”. La bandiera di Fatah presenta una granata con fucili incrociati sovrapposta alla mappa di Israele a sottolineare la dedizione di Fatah, insieme agli altri gruppi di “liberazione”, alla “lotta armata” contro Israele, ovvero al jihad.
Eppure, nonostante tutto ciò, nonostante la chiarezza del quadro, l’Occidente, Stati Uniti in testa, perorano la nascita nel cuore di Israele di uno Stato jihadista a dimensioni un po’ più larghe rispetto a quello che è già stato realizzato e la cui esistenza è costata in mezza giornata il massacro indiscriminato di 1200 cittadini israeliani e il rapimento di altri 240.