Parla chiaro Mike Pompeo nel suo discorso alla Heritage Foundation di Washington. Si tratta del primo discorso politico su suolo americano del nuovo Segretario di Stato, ed è indirizzato all’Iran.
Che l’era Obama fosse stata definitivamente seppellita con l’uscita degli Stati Uniti dal JCPOA, il deal sul nucleare iraniano, era palese. Affossato il più pubblicizzato “successo” di politica internazionale di Barack Obama, si trattava di riqualificare nel modo più limpido la politica americana nei confronti di Teheran. E’ quello che ha fatto Mike Pompeo.
Da una parte c’è la mano tesa verso l’Iran e dodici punti, a cui il regime degli ayatollah dovrebbe ottemperare per il bene del paese (tra cui, abbandonare definitivamente ogni programma nucleare, terminare la proliferazione di missili balistici, togliere il sostegno ai gruppi terroristici come Hezbollah, Hamas, la Jihad Palestinese, liberare i cittadini americani detenuti, togliere il proprio appoggio ai ribelli Houthi in Yemen, smobilitare le milizie sciite dalla Siria, cessare di minacciare Israele…), dall’altra c’è la clava delle sanzioni economiche che si abbatteranno sul regime, e che saranno “senza precedenti”, se l’Iran non procederà nel senso indicato dagli Stati Uniti.
Pompeo non è un ingenuo. Sa benissimo che il regime iraniano non accoglierà nessuna delle richieste americane. Farlo significherebbe mettere in mora la sua stessa ragione d’essere, l’esportazione della rivoluzione islamista del 1979, che può avanzare, alla pari di tutte le rivoluzioni che si autointerpretano come palingenesi mondiali, unicamente in virtù della sua esportazione, dell’espansionismo. Come ha evidenziato Matthias Küntzel in una intervista a questo giornale:
“Ali Khamenei descrive la rivoluzione islamica come ‘il punto di svolta nella storia moderna del mondo’ e aggiunge, ‘Il nostro movimento storico sta creando una nuova civiltà’. La creazione di questa nuova civiltà dipende, come sempre, dall’annichilimento dei suoi nemici, in questo caso Israele e gli Stati Uniti..Persino Mohammad Javad Zarif, il primo ministro iraniano e figura di spicco di un presunto Iran moderato, ha respinto questa supposizione. “Noi siamo i pretendenti di una missione che ha una dimensione globale” ha scritto in farsi nelle sue memorie, pubblicate all’inizio del 2014. ‘Abbiamo definito la nostra vocazione globale, sia nella costituzione che negli obbiettivi finali della rivoluzione islamica…Credo che non potremmo esistere senza i nostri obbiettivi rivoluzionari’”.
Resta dunque sul tavolo l’opzione più realistica, quella della massima severità riguardo alle sanzioni economiche, il cui obbiettivo, è di assestare un ulteriore colpo a una economia già precaria e determinare le condizioni per un cambio di regime che non sia determinato da un intervento militare.
“Il regime ha combattuto in tutto il Medioriente per anni. Quando le nostre sanzioni diventeranno operative, lotterà per mantenere viva la propria economia. Sarà costretto a fare una scelta: lottare per mantenere in vita la propria economia interna o sperperare risorse preziose in guerre estere. Non avrà le risorse per fare entrambe le cose“.
Al piano americano di colpire il regime iraniano attraverso un regime di sanzioni ancora più pesanti di quelle precedenti, si contrappone l’Europa, la quale cerca una sponda con la Russia e la Cina, ma le chance di potere realmente operare efficacemente al di fuori delle sanzioni americane è assai scarsa.
Le sanzioni secondarie degli Stati Uniti colpiranno chi vorrà fare affari con l’Iran. Agli istituti che forniranno euro agli iraniani le banche americane toglieranno il rifornimento in dollari, con l’aggiunta delle sanzioni da parte delle controllate americane delle banche europee che avranno erogato denaro. Fare affari con l’Iran per alienarsi quelli con gli Stati Uniti non sembra un esito particolarmente vantaggioso per l’Europa.
Il discorso di Pompeo ha tre interlocutori: il regime degli ayatollah, il popolo iraniano a cui già Trump si era rivolto nel suo primo discorso all’ONU, e gli alleati europei che cercando di svincolarsi dall’egemonia americana vorrebbero remare contro il futuro regime di sanzioni. Una cosa è certa. La strada USA nei confronti dell’Iran è tracciata in modo netto e risoluto, senza alcuna ambiguità. Sta agli interlocutori a cui il discorso è rivolto sapersi muovere di conseguenza.