Editoriali

50 volte “Colonie” e 7 volte “Terrorismo”: la retorica di John Kerry

“La soluzione due stati due popoli è l’unica via per raggiungere una pace giusta e duratura”, ha dichiarato il Segretario di Stato Statunitense John Kerry, parlando della risoluzione 2334 ONU che ha condannato gli insediamenti Israeliani. Secondo l’amministrazione uscente, e Obama lo ha dimostrato non utilizzando il potere di veto, la principale causa del conflitto israelo-palestinese sono le “colonie”: comunità di israeliani che vivono nei territori “palestinesi” della Cisgiordania sotto l’amministrazione dell’Autorità Nazionale Palestinese.

Andiamo per ordine: si è lungamente parlato del gesto degli Stati Uniti come ultimo tentativo di Obama di dimostrare una presa di posizione nel marasma della politica estera statunitense in Medio Oriente.  Porre l’accento su una questione come gli insediamenti israeliani potrebbe per qualche istante far distogliere l’attenzione dal fatto che Obama sia considerato il presidente statunitense che ha condotto la peggior politica estera della storia, riuscendo, da solo, a ricacciare il paese dentro al tunnel della Guerra Fredda, destabilizzando il Medio Oriente e macchiandosi dell’agghiacciante colpa di aver reso fertile il terreno per la creazione di uno Stato Islamico in Siria e in Iraq.

Per quanti errori l’ex leader statunitense possa aver commesso in Medio Oriente, niente è peggio del modo svogliato e scostante con il quale ha condotto le relazioni con Israele.  A partire dalla morbidezza con cui ha trattato gli accordi sul nucleare iraniano, attraverso la foga di dimostrare il successo della diplomazia statunitense nel breve periodo, ma disinteressandosi delle conseguenze dell’escalation di proliferazione nel lungo periodo; fino ad arrivare all’astensione nella tanto discussa risoluzione 2334 ONU, secondo la quale la causa, come ribadito nel discorso di John Kerry, del perpetuo conflitto israelo-palestinese sia da riscontrarsi nelle comunità ebraiche residenti nel territori controllati dall’ANP.

In pratica, l’indottrinamento dei bambini palestinesi, i numerosi attentati dell’ultimo anno, l’intifada “dei coltelli”, la celebrazione dei martiri, i continui e perpetui richiami alla distruzione dello stato d’Israele e la sostituzione di esso con uno stato islamico palestinese: tutto ciò non è meritevole della considerazione del segretario di Stato. La continua lotta contro Hamas, il terrorismo, le infiltrazioni attraverso i tunnel, la propaganda di odio e violenza, non minerebbero il processo di pace, ma lo farebbe l’aumento del numero di ebrei residenti a Gerusalemme est.

L’incoerenza e la faziosità presenti in questo discorso possono essere dimostrate anche senza ascoltarlo o leggerlo. Come? Basta trovare la sua trascrizione, e contare il numero di volte nel quale appaiono le parole “Settler-s” (Colone/i) e “Settlements” (Colonie). Si tratta di SESSANTADUE RIPETIZIONI.

Nei primi secondi di discorso, Kerry afferma con enfasi la sua dedizione circa la pacificazione nella regione mediorientale, citando, in particolare, l’importanza che lui e Obama hanno prestato alla sicurezza di Israele lungo l’arco della loro presenza ai vertici della politica statunitense. Ciò detto, non può non lasciare a bocca aperta come una figura di tale rilievo possa legare la sicurezza israeliana ai 389 mila civili che “vivono nel posto sbagliato”, anziché alla radicalizzazione dei civili palestinesi da parte dei gruppi terroristici (Hamas a Gaza, Islamic Jihad e Fatah in Cisgiordania), la quale ha ovviamente condotto all’accrescersi delle migliaia di vittime del terrorismo in Israele.  Nello stesso discorso, la parola “terrorismo” viene ripetuta solo 8 volte (quindici, se contiamo i derivati di “terrore”), vale a dire quasi sette volte in meno della parola “Settlements”.  Queste retorica rispecchia in toto la politica che gli Stati Uniti di Obama hanno applicato contro Israele, non solo contro il governo e l’amministrazione, ma soprattutto contro i cittadini, delusi come mai era successo da un presidente statunitense.

Dopo aver tentato di spiegar(ci) quanto tenga alla sopravvivenza di Israele e dei valori su cui essa si fonda, Kerry ha affermato come Israele debba scegliere se essere uno stato democratico o uno stato ebraico:

“They can choose to live together in one state or they can separate into two states. But here is a fundamental reality, if the choice is one state, Israel can either be Jewish or Democratic, it cannot be both”

Dopo duemila anni di persecuzioni, ghetti, Olocausto, lo Stato d’Israele, nato come stato ebraico, rifugio di ogni singolo ebreo e patria dei valori religiosi dell’ebraismo, secondo Kerry deve rinunciare alla sua natura, come se non fosse proprio la difesa di questa la ragione principale della sua stessa esistenza.

In alternativa, la soluzione “due stati due popoli” proposta da Kerry esclude di fatto la presenza di ebrei in Giudea e Samaria. In pratica, nel nuovo stato palestinese, nessun ebreo. Ma da Haifa ad Elat, arabi ed ebrei israeliani sono tenuti a convivere pacificamente.

Per l’amministrazione nordamericana e i suoi portavoce, i 2.75 milioni di palestinesi che vivono sotto la giurisdizione dell’Autorità Nazionale Palestinese, in realtà vivono sotto l’occupazione militare israeliana, segregati, discriminati e privi di alcun tipo di diritto.

Ci si dimentica sempre di ricordare quanto Israele sia circondato di nazioni che non hanno mai rinunciato a mostrare la loro ostilità nel confronti dello stato ebraico, trattasi di una fascia di territorio nemico grande quasi seicento-quindici volte Israele stessa, e che comprende la penisola arabica, l’Iran, Il Pakistan, il Nordafrica e la zona del Siraq.

A causa di questa particolarità geografica e del fatto che tra la Giordania e il Mediterraneo ci siano solo 70 Km, un arco di terra estremamente piccolo e facilmente attaccabile, Israele non può in alcun modo rinunciare alle zone della Giudea e della Samaria, poiché si tratta di una fascia di territorio senza il quale il tratto di separazione tra territori ostili e Israele si accorcerebbe a 20 KM misurati nel tratto tra Nir Eliyahu e Ga’ash, sul Mediterraneo.

Le necessità di sicurezza circa la protezione dei confini con la Giordania sono legate inevitabilmente al valore strategico della valle del Giordano e dei suoi dislivelli, inattaccabili da qualsiasi esercito.

A nord, invece, Israele deve affrontare le pressioni dei gruppi radicali in Iraq, Libano e Siria, in particolare di Hezbollah: anche qua la prevenzione delle infiltrazioni e di qualsiasi attacco, convenzionale e non, passa per il controllo della valle del Giordano e delle alture del Golan, le quali sono una risorsa di difesa imprescindibile per la nazione ebraica.

Abbandonarne il controllo, spostando i confini sulla linea auspicata da Obama e da Kerry, significherebbe mettere in pericolo non solo Gerusalemme Ovest, ma anche tutta la costa, dove sono presenti le città più vivaci e importanti del paese.  Tel Aviv, Natanya, Haifa, Herzliya e Ashdod (già ripetutamente colpita dai razzi costruiti a Gaza, territorio interamente fuori dal controllo israeliano) sarebbero alla portata anche dei missili più scadenti.

Non è possibile, fintanto che l’Autorità Nazionale Palestinese non riconoscerà il diritto di Israele ad esistere, non condannerà le azioni dei gruppi terroristici, e non collaborerà allo smantellamento di ogni singola cellula, neanche solo pensare di limitare il controllo dei territori che Kerry definisce “colonie illegali”: senza di esse Israele perderebbe controllo sulla minima porzione di spazio indispensabile per intervenire in caso di attacco.

Anche qualora non si considerasse l’inconfondibile differenza tra la natura pacifica e democratica dello Stato di Israele, a fronte della radicalizzazione di matrice Jihadista che prospera nei territori palestinesi, anche volendo sorvolare sulla mole di propaganda antisemita e violenta persino nelle scuole palestinesi, confrontata con le immagini di armonia e rispetto per la diversità religiosa che emergono in ogni angolo dello stato di Israele, e anche se i palestinesi stessi decidessero, un giorno, di insegnare ai loro figli l’amore per la coesistenza e per la fratellanza, quei territori sarebbero comunque indispensabili alle forze armate israeliane per proteggersi dai focolai di terrorismo che prosperano nell’intero Medio Oriente.

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