Padre Raed Abushalia, direttore generale di Caritas Jerusalem, ci informa caritatevolmente della prossima guerra a Gaza. Non si tratta di profetismo, no ma di una acuta analisi. Il sacerdote ci fornisce anche l’anticipata responsabilità di chi farà scattare il conflitto. Indovinate chi? Di Israele, naturalmente, poiché per padre Abusahlia “la lentezza della ricostruzione è dovuta principalmente al blocco israeliano che non permette l’ingresso ai valichi di materiale come ferro, cemento e legno, poiché ritenuti utili alla costruzione dei tunnel di Hamas. Ma senza cemento non si può ricostruire e l’uso di prodotti diversi da questo fa lievitare i prezzi di altri materiali. Anche da qui si capisce che la diplomazia ha fallito”.
Chiaro no? Israele impedirebbe l’ingresso dei materiali primari necessari alla ricostruzione creando le condizioni per la nuova guerra, che non sarà dovuta al fatto che Hamas ha nel suo statuto la distruzione di Israele come obbiettivo primario, no, questo è un dato del tutto secondario. Hamas lancerà di nuovo i missili contro Israele per motivi “umanitari”, cioè sensibilizzare il mondo contro il blocco israeliano che impedisce che la ricostruzione proceda a passo spedito.
La menzogna del sacerdote è macroscopica. Israele non impedisce affatto l’ingresso di materiali atti alla ricostruzione ma permette il loro ingresso previo controllo scrupoloso visto che sono qualificati materiali per “doppio uso”, uno per le abitazioni e i palazzi distrutti, l’altro per la costruzione di tunnel sotterranei il cui scopo è provocare azioni terroriste dentro lo stato ebraico. Su questo secondo uso dei materiali “bloccati”, padre Abushalia opportunamente glissa.
Dalla fine dell’Operazione Margine Protettivo, nell’agosto 2014 alla fine del luglio 2015 Israele ha permesso l’ingresso a Gaza di 1.47 milioni di tonnellate di materiali edili attraverso il valico di Kerem Shalom. Di questo ammontare il 22% era predisposto per le case distrutte durante il conflitto, mentre il resto è stato destinato per programmi di aiuto internazionale.
Tutto avviene attraverso il GRM acronimo per Gaza Reconstruction Mechanism, reso possibile dalla disponibilità di Israele. Il blocco di cui parla padre Abushalia esiste solo nella sua mente. Ma la denuncia del direttore generale di Caritas Jerusalem non si ferma solo a questo, egli prosegue facendo riferimento ai fondi.
“Dopo la fine della guerra nella Conferenza dei Paesi donatori del Cairo fu deciso di stanziare 5,3 miliardi di dollari per la ricostruzione di Gaza. Dove sono questi soldi? Solo il Qatar sta facendo la sua parte costruendo circa 200 abitazioni, ma non di più”.
Qui il sacerdote fa un po’ di confusione. I 5 miliardi di dollari stanziati per la ricostruzione di Gaza sono intesi globalmente per i territori palestinesi e “solo” 3,5 miliardi di dollari sono destinati a Gaza. Il principale responsabile per la gestione e la distribuzione dei fondi è l’Autorità Palestinese. Ad essa e ai suoi vertici dovrebbe essere rivolta la domanda.
Nel frattempo però, padre Abushalia potrebbe provare a farla, relativamente ad altri fondi, a Muhammad Halabi, membro di Hamas e definito dalle Nazioni Unite “un eroe umanitario”, collaboratore palestinese della charity evangelica cristiana World Vision, arrestato il 15 agosto in una operazione congiunta dello Shin Bet, dell’IDF e della polizia israeliana, con l’accusa di avere dirottato il 60% del budget annuale della charity, 7 milioni e 200,00 dollari stanziati per gli aiuti, al gruppo terroristico per l’acquisto di armi e la costruzione di tunnel.