Pochi giorni or sono, il 16 maggio, cadeva un anniversario che da solo ci fornisce una immagine molto efficace di quanto il XX secolo disti dal nostro. Cent’anni fa, il 16 maggio 1916, infatti due diplomatici di carriera, l’inglese Mark Sykes ed il francese Francois George Picot, firmarono un trattato segreto che aveva lo scopo di spartire l’Impero Ottomano, vicino alla sconfitta nel quadro delle vicende della prima guerra mondiale, in zone d’influenza. A quel tempo anche l’impero zarista era stato coinvolto, ottenendo il controllo di Costantinopoli e dei Dardanelli, una via di collegamento vitale per la Russia; la rivoluzione del 1917 fece sì che Lenin scoprisse questo accordo e rinunciasse ad applicarlo, restando in tal modo coerente con i suoi princìpi ma – per fortuna – precludendo alla Russia una possibilità di espansione militare e commerciale (oltre che ideologica).
La Gran Bretagna con questo accordo si assicurò l’accesso alle riserve petrolifere del Vicino Oriente arabo ed una via commerciale verso l’India, mentre la Francia ottenne la protezione delle comunità cristiane della Siria e di quello che successivamente sarebbe stato il Libano. Gli arabi, in particolare gli Hashemiti, cercarono di forzare la mano per ottenere anch’essi dei benefici, ma la loro tiepida partecipazione al conflitto li escluse dalle spartizioni più consistenti. Fu invece la Palestina a rivestire un ruolo centrale, in quanto Sykes era un convinto sionista pur non essendo ebreo, e con tutta evidenza contava sul fatto che la presenza ebraica in quella regione avrebbe favorito il ruolo dell’Inghilterra.
Fu così che i confini dei futuri stati arabi, che sarebbero nati solo al termine del conflitto, furono tracciati dalle due potenze europee in base esclusivamente ai loro interessi strategici ed economici; lo stesso dicasi per la Palestina, il cui ruolo fu esplicitato nella Dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917. Nel 1949, criticando il rifiuto del governo laborista inglese di riconoscere lo stato d’Israele, Winston Churchill dichiarò che “l’esistenza dello stato d’Israele ha il significato di un evento, nella storia mondiale, da dover essere considerato nella prospettiva non di una sola generazione o di un solo secolo, ma in quella di mille, duemila o perfino tremila anni”.
Negli anni successivi gli Hashemiti, con il consenso inglese, si ritagliarono dapprima una parte consistente della Palestina oltre il Giordano, e poi un’altra al di qua del Giordano (oggi gestita dall’Autorità Palestinese). Nel 1920 la Conferenza di Sanremo aveva confermato la decisione della Società delle Nazioni, e quei confini tracciati senza alcuna considerazione per gli interessi delle popolazioni arabe, divennero definitivi.
Definitivi, fino ad oggi. Cento anni dopo gli accordi Sykes-Picot la geografia del Vicino Oriente è sconvolta dalle guerre del XX secolo e dagli eventi del XXI, e l’assurdità – se vista con gli occhi di oggi – delle decisioni che avevano contrassegnato il destino del mondo arabo nel Vicino Oriente risalta con tutta la sua drammatica evidenza. Sarebbe troppo semplicistico addossare all’imperialismo francese ed inglese la responsabilità di quanto è successo dopo, ma non sarebbe del tutto falso. Quello era un mondo profondamente diverso da quello che conosciamo noi: c’erano imperi ed imperatori, sudditi e popoli colonizzati, categorie politiche e sociali che oggi non riusciamo a concepire nell’ Europa che ora si è anche sottratta al despotismo comunista di Mosca , peraltro con la conseguenza di frammentarsi come era stata, almeno nei Balcani, nel 1915. Questi cento anni vanno ricordati come la cesura profonda ed irreversibile fra due mondi, due modi di intendere la politica, due diverse visioni geopolitiche, due inconciliabili rapporti fra il potere ed i cittadini.