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29 Novembre 1947: il primo passo per la nascita dello Stato di Israele

Sessantotto anni fa, il 29 novembre 1947 alle 12:40, l’ONU votava la risoluzione che avrebbe portato poi alla creazione dello Stato di Israele. In quel giorno l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite votò il piano di spartizione della Palestina mandataria, che prevedeva la creazione di due Stati, uno arabo e l’altro ebraico, con l’assegnazione di Gerusalemme al controllo internazionale (risoluzione ONU 181). E così tutti a contare, uno dopo l’altro, i “si”, “no”, “astenuto”… Per essere approvata infatti la risoluzione doveva ottenere due terzi dei voti a favore – e per ben due volte, a settembre, non li aveva ottenuti. Perciò quell’ennesima conta parve interminabile. A presiedere l’assemblea il brasiliano Oswaldo Aranha, accanto a lui il segretario generale dell’Assemblea, il norvegese Trygve Lie.

Quando fu il turno della Francia, i nervi erano a fior di pelle: il suo voto era il più atteso ed incerto. Tutti si aspettavano un’ennesima astensione. Così quando giunse il suo “si”, i sionisti seduti nella galleria della sala, esplosero in un grandioso applauso di sollievo e gioia. Il presidente richiamò l’ordine, ricorda David Horowitz, delegato sionista all’assemblea, e allora “l’emozione divenne quasi un dolore fisico”. Era il momento del verdetto finale: 33 si, 13 no, 10 astenuti. La mozione era passata.

In quel momento ricorda ancora Horowitz “sentimmo battere le ali della storia su di noi”. La gioia esplose dentro la sala, per le strade di New York e per quelle di mezzo mondo. A Gerusalemme Golda Meir si rivolse alla folla dal balcone del palazzo dell’Agenzia ebraica e disse: ”Per duemila anni abbiamo aspettato la nostra liberazione. Ora che è qui è così grande e meravigliosa che va oltre le parole umane. Ebrei, gridò, Mazel tov! ”

In tutta Israele vi furono celebrazioni e l’entusiasmo pervase tutte le strade, perché finalmente ogni ebreo ‘errante’ aveva la possibilità di avere un proprio stato, in cui vivere senza doversi nascondere o subire soprusi. Finalmente, i Sabra, gli ebrei che già vivevano in Eretz Israel (la terra di Israele) da oltre 3mila anni, poterono darsi una organizzazione sociale più moderna e riconosciuta a livello internazionale.

Il giornalista di Yediot Ahronot, David Giladi, descrisse così le celebrazioni nella prima città ebraica moderna di Israele: “La scorsa notte Tel Aviv non ha chiuso occhio. È andata in giro selvaggia. Ha dato sfogo a quella gioia desiderata ardentemente da tante generazioni che non hanno vissuto abbastanza per provarla. Ha vagato chiassosa, turbolenta, è stata inghiottita da una tempesta di entusiasmo che circondava giovani e meno giovani” – e raccontò ancora – “La città ha cantato dal cuore, ha danzato in confusi cerchi concentrici, ha fatto scoppiare le trombe, ha agitato le bandiere ed ha sollevato il bicchiere alla vita (Lechaim!) dello Stato di Israele. Tel Aviv era ubriaca dalla vittoria”.

I rappresentanti degli stati arabi furono scioccati da quel risultato: i delegati di Siria, Libano, Iraq, Arabia Saudita, Yemen ed Egitto, scrisse poi il segretario generale Trygve Lie, “si alzarono e uscirono dalla sala dell’Assemblea”. L’alto Comitato Arabo trasmise subito al segretario generale Lie un comunicato con cui informava che gli arabi di Palestina “non accetteranno mai alcuna potenza che li costringa a rispettare la spartizione”. L’unico modo per dare corso alla spartizione, si leggeva, sarebbe stato quello di cancellare tutti quanti loro – uomini, donne e bambini. I chierici del seminario islamico Al-Azhar del Cairo invocarono a loro volta un “jihad mondiale in difesa della Palestina araba”, scrive ancora Horowitz.

La mattina dopo in Palestina esplosero i primi colpi dei Paesi arabi in quella che sarebbe poi stata la Guerra di Indipendenza di Israele o, per il mondo arabo, la “Nakba” – la catastrofe.

(Fonti e citazioni: mosaico-cem.it & Ynetnews.com)

Emanuel Baroz per Focun on Israel

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